Finanza & Mercati

La Bce, l’inflazione e i dubbi sulla durata del Qe

  • Abbonati
  • Accedi
Politica monetaria

La Bce, l’inflazione e i dubbi sulla durata del Qe

(Reuters)
(Reuters)

Una valutazione tecnica? Non sembra possa essere altro, al momento, l’ipotesi di graduale riduzione (tapering) del quantitative easing che è trapelata martedì e ha scosso i mercati. È naturale che la Banca centrale europea stia preparando per tempo anche una strategia di uscita dall’attuale fase di politica monetaria. La questione appare però prematura.

Un’estensione degli acquisti al di là dell’attuale scadenza di marzo 2017 è quindi ancora possibile, e tutto dipenderà dai dati macroeconomici che saranno pubblicati nei prossimi mesi. La Bce ha deciso di mantenere una politica ultraespansiva (che non significa soltanto acquisti di titoli) fino a quando l’inflazione non sarà stabilmente su un percorso che porti verso l’obiettivo del 2%. Al momento segnali in questo senso non se ne vedono, però. L’indice di inflazione potrà accelerare nei prossimi mesi - e ha già cominciato a farlo a settembre, quando il suo incremento è passato allo 0,4% dallo 0,2% - per l’aumento dei prezzi del petrolio rispetto ai livelli bassissimi di un anno fa. Un aumento dell’indice, causato dall’incremento di prezzo di un singolo bene, sia pure importantissimo, non segnala però una vera inflazione, ma soltanto una variazione - dagli effetti notevoli - dei prezzi relativi. Escludendo l’energia, l’indice dei prezzi in realtà ha addirittura decelerato, sia pure marginalmente, a settembre e, in ogni caso, non ha dato recentemente segnali di voler risalire. Analogamente, non sembra che dai prezzi alla produzione emerga un aumento delle pressioni sull’inflazione tale da far immaginare un aumento generalizzato del livello dei prezzi.

Non se ne può concludere, però, che il quantitative easing dovrà necessariamente durare molto più a lungo di quanto si sia immaginato. La Bce deve uscire dalla sua politica ultraespansiva con largo anticipo rispetto alla ripresa dei prezzi per evitare che si crei il problema opposto, un eccesso di inflazione. Seguirà allora l’andamento delle aspettative di inflazione - la cui misura è però molto disturbata da altri fattori difficilmente quantificabili - come l’andamento della crescita.

Contrariamente a quanto in genere si pensa, in passato la Bce ha sempre reagito prontamente all’andamento del prodotto interno lordo. L’idea è che una crescita del pil si trasformi - meno rapidamente nelle fasi più deboli del ciclo, più velocemente alla fine della ripresa - in un aumento dei prezzi: è la versione moderna della curva di Phillips - che originariamente legava salari e inflazione e poi occupazione e inflazione - la cui effettiva esistenza è però molto dubbia, almeno per il lungo periodo, in Eurolandia come negli Stati Uniti.

Neanche dalla crescita giungono però segnali confortanti - il pil di Eurolandia sembra essersi stabilizzato su un incremento dello 0,4% trimestrale - ma le scelte della Bce dipendono in realtà anche da un altro elemento, molto elusivo e difficilmente calcolabile (e anche controverso): la crescita potenziale. È quando il pil si muove a una velocità vicina al potenziale che aumentano le pressioni sui prezzi. Secondo le ultime valutazioni, compiute dallo staff di economisti della Bce a luglio, questa distanza potrebbe essere ancora molto, molto ampia, ed Eurolandia potrebbe aver bisogno di una politica ultraespansiva ancora a lungo. Ammesso - e questo è il vero dubbio che sta emergendo, e non solo in Eurolandia - che la politica monetaria, in questa fase, produca davvero effetti.

© Riproduzione riservata