Finanza & Mercati

Tassi BTp all’1,76%, al top da un anno

  • Abbonati
  • Accedi
il focus

Tassi BTp all’1,76%, al top da un anno

Un anno fa il Ftse Mib di Piazza Affari quotava 22.500 punti (oggi è sotto del 25% rispetto a quei valori). Il prezzo del petrolio era a 46 dollari al barile (non distante dagli attuali 46,5 ma in rialzo del 64% rispetto ai minimi di febbraio). L’inflazione dell’area euro era allo 0,1%, molto più bassa dello 0,5% attuale. Il rendimento dei BTp a 10 anni era all’1,76%, esattamente come quello toccato ieri.

Escludendo l’andamento di Piazza Affari (che ha risentito dell’eccessivo peso nell’indice delle banche che hanno sofferto per l’introduzione del bail-in) le quotazioni di titoli di Stato e petrolio si sono riportate sugli stessi livelli di 12 mesi fa. Il recupero del prezzo del petrolio - che a febbraio era sceso a 28 dollari - ha fatto risalire l’inflazione e, soprattutto, le stime su come si muoverà nel futuro il livello dei prezzi. Attualmente queste proiezioni - ricavabili dall’indice 5y5y Eurozone che esprime le aspettative dei mercati su come sarà l’inflazione nell’area euro fra 5 anni (e per i successivi 5) - sono risalite a quota 1,5%, 20 punti base in più rispetto al mese scorso (quando erano all’1,3%).

Questo ci aiuta a spiegare in parte come mai da qualche settimana i gestori stanno alleggerendo le posizioni sui titoli di Stato con i rendimenti che stanno risalendo andando a incorporare uno scenario inflattivo differente. Le vendite sono generalizzate e non interessano solo il BTp. Ma il decennale italiano è certo tra più colpiti, perché appesantito dall’incertezza legata all’esito del referendum costituzionale del 4 dicembre. Il BTp ha sfiorato l’1,8% (con spread sul Bund a un soffio dai 161 toccati dopo la Brexit), un dato che sembra incredibile se si considera che a un mese fa era all’1,15% e che ad agosto è andato vicinissimo a rompere al ribasso la barriera dell’1%. Nell’ultimo mese i rendimenti italiani sono saliti di oltre 60 punti base. Un movimento simile solo a quello del Gilt britannici(il rendimento è salito di 60 punti base all’1,28%) per via di un aumento dell’inflazione nel Regno Unito. Gli altri principali bond governativi dell’Eurozona (a 10 anni) hanno visto i tassi risalire in media di 25 punti base. Della stessa misura con cui sono risaliti i rendimenti dei titoli statunitensi che stanno andando a incorporare, molto semplicemente, un rialzo dei tassi negli Usa a dicembre proprio di 25 punti base.

Nell’Eurozona, invece, dove è ancora in corso il piano di espansione monetaria della Bce (almeno fino a marzo 2017 ma i mercati scontano una proroga a dicembre) di rialzo dei tassi è troppo presto per parlarne. Quindi è evidente che gli investitori stanno prezzando le aspettative di una crescita dell’inflazione. Ma non si tratta dell’inflazione buona e duratura (quella che deriverebbe da un aumento dei salari che, a ruota, si ripercuoterebbe su consumi, fiducia sul futuro e investimenti) ma di quella cattiva e momentanea (quella tecnica, importata, da petrolio).

Allo stesso tempo gli investitori non vogliono restare con il cerino accesso in mano in una, quella sui titoli di Stato, che a molti da tempo è sembrata una bolla. Non a caso con le vendite di ottobre la quota dei titoli di Stato della zona euro “investment grade” con rendimento di mercato negativo è scesa al 45% rispetto al 49% del mese precedente. Per quel che riguarda le obbligazioni aziendali “investment grade”, la quota di quelle con rendimenti negativi è scesa al 23 dal 27%. Per quanto in discesa, si tratta in ogni caso di percentuali da bolla. E più di uno, ora che si avvicina la fine dell’anno - e magari c’è anche voglia di monetizzare i lauti guadagni offerti da questo mercato - sta vendendo.

Le Borse, invece, dopo l’ottimo mese di ottobre hanno iniziato male novembre. I mercati finanziari hanno accolto con preoccupazione gli ultimi sondaggi che narrano di un clamoroso recupero di Trump nei sondaggi verso le presidenziali in programma fra una settimana esatta.

© Riproduzione riservata