Dopo la Brexit la vittoria di Donald Trump alle Presidenziali Usa è il secondo «cigno nero», cioè l’evento imprevedibile che sorprende i mercati, in meno di 5 mesi. Ora come allora gli investitori si sono fatti trovare impreparati, da qui le reazioni violente alle quali abbiamo assistito nei primi minuti e che si sono però via via in parte ridimensionati. L’incertezza, paragonata alla continuità che avrebbe rappresentato l’elezione di Hillary, Clinton ha spaventato in un primo momento i mercati. Dalle prossime settimane occorrerà però capire a fondo le vere intenzioni del neo eletto Trump prima di indirizzare gli investimenti.
Azioni
Lo shock immediato dei listini, che non avevano assolutamente prezzato la vittoria di Trump (così come a suo tempo era avvenuto per la Brexit) rappresenta una reazione piuttosto scontata. Guardando oltre l’angolo si può analizzare l’impatto potenziale sui singoli settori legato a quelli che sembrano gli orientamenti del nuovo inquilino della Casa Bianca. Trump ha per esempio dichiarato di voler spendere il doppio della sua rivale in infrastrutture, cosa che potrebbe favorire i titoli legati al comparto delle costruzioni.
Allo stesso modo, l’ostilità nei confronti delle politiche ambientali sarebbe in grado di dare una spinta ai produttori di combustibili fossili e frenare il settore delle energie pulite come solare ed eolico. Più in generale, la contrarietà di Trump a una maggiore liberalizzazione del commercio su scala globale e il suo favore per dazi doganali e restrizioni agli scambi tenderà a sostenere i comparti produttivi nazionali a scapito della concorrenza internazionale, cinese in primis.
Obbligazioni
A detta di molti osservatori finanziari l’imprevedibile vittoria di Trump poteva essere l’unico o quasi fattore in grado di bloccare l’atteso rialzo dei tassi da parte della Federal Reserve a dicembre. A guardare i future sui Fed Fund, le probabilità di una «stretta» entro fine anno si sono ridotte da oltre il 70% al 50% e anche per questo motivo si è assistito nelle prime fasi a un ribasso dei rendimenti dei Treasury, i titoli di Stato Usa.
Successivamente però la situazione si è ribaltata, in parte per i toni più accomodanti utilizzati da Trump nel primo discorso ufficiale rispetto alla campagna elettorale, in parte anche per una serie di considerazioni a lungo termine sul fatto che il nuovo presidente potrebbe nel medio termine ampliare il deficit fiscale e, in ultima analisi, provocare una reazione più aggressiva della Fed.
Resta poi da valutare il fatto che gli investitori siano alla ricerca di un «rifugio» in un momento di fuga dal rischio, elemento evidente negli acquisti verso il Bund (e nel conseguente ribasso dei loro tassi). Più contrastata infine la possibile reazione dei BTp: l’ondata di risk-off tende infatti ad allargare lo spread con la Germania, ma a questo va aggiunto il contemporaneo ribasso generale del livello dei tassi. Al momento sta prevalendo la prima forza, visto che il differenziale Italia-Germania è balzato oltre 160 punti base, ma le vendite sui BTp risultano tutto sommato limitate. I primi test più significativi si avranno nei prossimi due giorni nei quali sono previste nuove aste pubbliche da parte del Tesoro sia per BoT che per BTp.
Valute
La prima reazione del dollaro è stata di perdere posizioni nei confronti di tutte le altre valute, una conseguenza diretta del calo dei tassi dei Treasury e del possibile cambiamento delle prospettive sulle mosse a breve della Fed. Anche in questo caso l’impatto iniziale è in parte rientrato e a lungo andare occorrerà valutare in pieno gli effetti delle politiche di Trump: sulla carta, secondo gli analisti, la sua agenda potrebbe infatti puntare verso una sorta di de-globalizzazione, negativa per la produttività statunitense e quindi anche per la sua crescita a medio-lungo termine. La circostanza tenderebbe a indebolire il biglietto verde, ma non tutti gli analisti sono concordi su questo punto.
Più evidente è invece la reazione negativa dei Paesi emergenti e delle loro valute. Al di là del caso del peso messicano, che per settimane è stato il vero barometro delle attese sulle elezioni Usa per via del chiaro proposito di Trump di rivedere le politiche sull’immigrazione e che sta tracollando in questi minuti, alla lunga tutti gli emergenti sembrano destinati a soffrire. La tendenza alla de-globalizzazione sarebbe inoltre negativa per le materie prime e per il petrolio in particolare, mettendo così ancora più sotto pressione i produttori dei Paesi emergenti.
Oro
Se è vero che Trump equivale a maggior incertezza, non c'è da stupirsi della reazione dell’oro, che ha rialzato la testa ogni volta che i sondaggi indicavano un recupero del candidato repubblicano e lo sta a maggior ragione facendo in questo momento (+3% oltre 1.300 dollari l’oncia). Al clima di avversione al rischio sui mercati si aggiunge poi il dollaro debole a dare ulteriore sostegno al metallo giallo, che secondo gli analisti potrebbe così superare i massimi dell’anno e tornare ai livelli del 2014, a ridosso dei 1.400 dollari l’oncia.
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