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Mps, le tre vie possibili per i 40mila obbligazionisti

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Mps, le tre vie possibili per i 40mila obbligazionisti

Ansa
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Vendere subito sul mercato, vendere alla banca e sottoscrivere l’aumento, tenere in tasca e aspettare la scadenza naturale dei titoli (correndo i rischi di un’eventuale risoluzione). Per i 40mila obbligazionisti retail sono queste le tre possibili risposte che si possono dare alla proposta di «acquisto volontaria con obbligo di reinvestimento», di cui ieri si sono messi a disposizione i primi documenti.

Anzitutto, i motivi dell’operazione: perché Mps ha deciso di bussare alla porta degli obbligazionisti? Perché per il piano di risanamento e rilancio dell’istituto, che comporta tra l’altro la cartolarizzazione di 27,6 miliardi di crediti deteriorati lordi, serve un’iniezione di capitale fresco da 5 miliardi. Il mercato difficilmente potrà sostenerla da sola sottoscrivendo nuove azioni, e così si è pensato di coinvolgere anche i titolari di obbligazioni subordinate. Anche quelli retail che, pur nel quadro di un’operazione complicata e rischiosa, potrebbero voler essere coinvolti nelle opzioni offerte dalla banca, al pari degli investitori istituzionali.

Secondo, i titoli coinvolti: Mps ha lanciato la sua offerta di acquisto su 11 bond subordinati per un ammontare complessivo nominale di 4,3 miliardi, tra i quali spicca il bond 2008-2018 da 2,1 miliardi di euro, specificatamente disegnato e autorizzato per essere collocato presso la clientela retail.

Terzo punto, il prezzo: per convincere i sottoscrittori si fa leva su un premio rispetto agli attuali valori di mercato a cui sono scambiati. Per i titoli Tier 1, più rischiosi, la proposta di conversione è dell’85% del nominale, mentre per i bond Tier II la conversione è alla pari, con l’eccezione di una piccola obbligazione per il cui riacquisto viene offerto il 20% del valore nominale.

Quindi, le tre alternative per i possessori dei titoli. Si può decidere di aderire, consegnando i titoli alla banca e reinvestendo obbligatoriamente nell’aumento di capitale l’importo incassato: si cambia il tipo di asset, passando a uno più rischioso, di cui non si sa il possibile andamento post-conversione, ma si beneficia di un prezzo più alto di quello oggi applicato dal mercato. Altra ipotesi, è quella di vendere immediatamente sul mercato: in quel caso la somma intascata - attualmente più bassa di quella offerta dalla banca, ma non è detto che nei prossimi giorni i due valori non si possano allineare - può essere riallocata dove si crede. Terza e ultima via: tenere i titoli fino alla scadenza naturale, e quindi puntando sul rimborso integrale di quanto sottoscritto ai tempi; uno scenario, quest’ultimo, in teoria più prudente, anche se è la stessa banca a ricordare che, qualora l’operazione di conversione (a cui sono legati l’aumento cash e la cartolarizzazione dei crediti) non andasse in porto, si profilerebbe il rischio di una risoluzione e di tutti gli strumenti ad essa collegati, tra cui la conversione forzata dei titoli subordinati.

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