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Super-dollaro e tassi: così i mercati anticipano le mosse Fed

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STRATEGIE DI INVESTIMENTO

Super-dollaro e tassi: così i mercati anticipano le mosse Fed

A questo punto sarebbe clamoroso un dietrofront della Fed. Perché i mercati da ieri prezzano con una probabilità del 96% un rialzo dei tassi negli Usa nella riunione del 14 dicembre. Che i mercati scontino tale scenario è evidente leggendo i movimenti del dollaro e dei rendimenti dei titoli di Stato americani. Il dollaro continua a rafforzarsi contro tutte le principali valute internazionali. Ieri l’euro è sceso a 1,065 nei confronti del biglietto verde, il livello più basso dal gennaio. Dalla vittoria di Trump il dollaro ha guadagnato il 3,2% sull’euro, il 4% sullo yen e l’1,35% sullo yuan cinese. Per non parlare del +10% sul peso messicano e del +6% sulla lira turca. Nei confronti della sterlina, invece, il quadro si è stabilizzato (anzi il dollaro ha perso lo 0,5% dopo Trump) anche perché dalla Brexit il guadagno è stato piuttosto corposo (+17%).

Il dollaro si rafforza anticipando politiche monetarie restrittive da parte della Fed. Il governatore Janet Yellen ha confermato questa direzione segnalando che l’incremento dei tassi di interesse arriverà «relativamente presto». Parole che hanno azzerato gli ultimi dubbi su una stretta nel meeting in programma fra un mese scarso (il 13-14 dicembre). E che hanno favorito ulteriori vendite sui titoli di Stato statunitensi. Ieri il rendimento dei biennali è salito all’1,03% e quello dei decennali al 2,27 per cento. In entrambi i casi si tratta dei valori più alti da dicembre 2015. I tassi statunitensi stanno salendo sia su aspettative di una politica monetaria restrittiva (quindi si pensa che la Fed alzerà, e più di una volta nei prossimi mesi, i tassi) ma anche su aspettative di una politica fiscale espansiva (quindi si pensa che Trump mantenga la promessa fatta in campagna elettorale, fra le tante e anche contraddittorie, di aumentare la spesa pubblica atta a stimolare investimenti in infrastrutture).

Un’espansione fiscale di questo tipo potrebbe avere effetti positivi sul reddito del ceto medio-basso (la roccaforte dell’elettorato del neo-eletto presidente repubblicano). Non a caso le stime sull’inflazione a 5 anni negli Usa ieri hanno segnato uno scatto dal 2,36% al 2,48 per cento. Ed è anche per questo che i tassi sui bond governativi stanno salendo (perché questi oltre a incorporare il rischio emittente aggiornano via via la dinamica delle aspettative di inflazione).

I tassi però stanno salendo anche nell’Eurozona. Il Bund tedesco a 10 anni da qualche giorno sta consolidando livelli vicini allo 0,3% (ovvero 50 punti base in più rispetto a quel -0,2% di settembre). Ma dato che i rendimenti tedeschi stanno “correndo” meno rispetto a quelli Usa lo spread tra i titoli dei due Paesi è salito al massimo storico di 195 punti. Se il Bund si è preso da qualche seduta una pausa la periferia europea prosegue nella fase di correzione al rialzo. Ieri i Bonos spagnoli a 10 anni sono saliti di 6 punti base all’1,6%, i pari titoli lusitani di 7 punti al 3,73%. In rialzo anche i tassi del decennale italiano passato dal 2,04% della vigilia al 2,1% (con un picco intraday al 2,13% come non accadeva dalla primavera del 2014). Lo spread Italia-Germania è balzato a 182 punti. Anche in questo caso bisogna tornare a marzo 2014 per ritrovare un divario analogo. L’Italia sta pagando l’incertezza sul referendum ed è probabile che almeno fino al 4 dicembre la volatilità sui titoli di Stato proseguirà senza posa. In ogni caso, come visto, la risalita dei tassi sta coinvolgendo tutti i Paesi dell’area. Questo perché anche in Europa stanno crescendo le aspettative di una crescita dell’inflazione. A questo aspetto si deve aggiungere che il divario tra i tassi in Usa ed Europa non può continuare ad ampliarsi con queste proporzioni (per mantenere su livelli accettabili il premio al rischio).

E poi anche per l’Europa vale l’incognita Trump. Se gli Usa davvero adotteranno politiche fiscali espansive potrebbero spingere anche l’area euro nella stessa direzione, per quanto divisa sul punto. Con tanti dubbi di sorta. «In questo momento nessuno è in grado di dire se siamo alla vigilia di una svolta epocale o stiamo semplicemente vivendo una forte correzione all’interno di un trend che rimane deflazionista. Non lo sapremo ancora per alcuni mesi, almeno fino a quando Donald Trump non si insedierà alla Casa Bianca e darà concreta attuazione alle sue molte, e a volte contraddittorie, promesse elettorali- spiega Massimo Terrazzano, responsabile investimenti di Bnp Paribas investment partners -. In questi mesi di attesa i mercati non staranno certo alla finestra ad aspettare, ma si muoveranno su voci, aspettative ed indiscrezioni e l'Europa intera rischia seriamente di essere travolta dalla marea che sta montando. In pericolo vi è l'intera impalcatura della politica monetaria che la Bce ha costruito in questi anni, con i tassi a medio-lungo termine trascinati al rialzo da quelli americani e la logica stessa del qe messa in forte discussione».

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