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Dossier I 4 spread da tenere d’occhio prima del referendum

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Dossier | N. 118 articoliReferendum costituzionale

I 4 spread da tenere d’occhio prima del referendum

Reuters
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Mancano 10 giorni al voto. Il 4 dicembre gli italiani dovranno decidere se approvare o no il testo di riforma della Costituzione. Dallo scorso week end non è più possibile pubblicare i sondaggi e questo alimenta il clima di incertezza sui mercati finanziari. Gli investitori - che per natura non prediligono scossoni - sono a favore del “Sì”, anche perché eviterebbe ribaltoni politici. In ogni caso l’esito è quantomai incerto ed è proprio per questo motivo che sui titoli di Stato italiani da qualche settimana è aumentata la tensione.

Lo spread BTp-Bund a 10 anni, che esprime il differenziale di rendimento tra i titoli di Stato italiani e quelli tedeschi, si è impennato fino a quota 187 punti, come non accadeva da maggio 2014. Il rendimento dei BTp - pur in assenza di inflazione in Italia - è salito al 2,11% (con un picco intraday al 2,17%) tornando sui livelli dell’estate del 2015.

LO SPREAD TRA BTP E BUND A 10 ANNI
Il differenziale di rendimento tra i titoli italiani e tedeschi

Pur essendo salito di oltre 80 punti base in pochi mesi (questa estate lo spread BTp-Bund era vicino a 100 punti) gli investitori in questo momento stanno cambiando parametro per misurare effettivamente il rischio-Paese per ciò che riguarda l’Italia.

Ci sono altri 3 termometri del rischio che vengono monitorati e che hanno sorpassato in ordine di importanza lo spread BTp-Bund. Il più importante è sicuramente il Ftse Ita Banks, ovvero l’indice che sintetizza l’andamento dei titoli delle banche italiane quotate a Piazza Affari.

L'INDICE DELLE BANCHE ITALIANE A PIAZZA AFFARI

Nell’ultima settimana questo indice ha perso il 5% portando a -50% il passivo da inizio anno. Gli investitori stanno vendendo le banche italiane proprio perché queste sono più esposte al rischio rispetto ai titoli di Stato. Mentre i titoli di Stato sono coperti dall’intervento della Bce (che può acquistarli sul mercato secondario in caso di forti pressioni ribassiste, almeno fino a marzo 2017 secondo le attuali regole del quantitative easing), le azioni delle banche italiane no. Senza protezioni di sorta le banche italiane sono diventate a tutti gli effetti il vero spread in questa fase del rischio Italia.

Se poi si torna nel mondo dei titoli di Stato (per quanto ovattato dallo scudo della Bce) ancor prima di osservare lo spread BTp-Bund bisognerebbe dare un’occhiata a quello tra Italia-Spagna, due Paesi considerati dai mercati più vicini (se non altro perché stanno sperimentando un analogo percorso deflattivo). Quindi se i tassi sui titoli di Stato di questi Paesi si discostano molto, vuol dire che qualcosa inizia a non tornare. Bene, se in estate lo spread tra Italia e Spagna era negativo (quindi l’Italia era considerata più sicura e solvibile della Spagna) oggi è il contrario. I BTp pagano 50 punti base in più dei Bonos e quindi sono considerati più rischiosi. Secondo gli esperti il sorpasso della Spagna sull’Italia è esclusivamente legato all’incertezza sul referendum italiano.

LO SPREAD TRA BTP E BONOS A 10 ANNI
Il differenziale di rendimento tra i titoli italiani e spagnoli

Ultimo ma non meno significativo il valore dei Cds. Cds sta per Credit default swap. Si tratti di titoli derivati paragonabili a delle polizze assicurative perché coprono dal rischio del fallimento del titolo sottostante. La curva dei Cds italiani nell’ultimo mese è divenuta più rischiosa, ovvero costa di più comprare queste polizze sull’Italia. Ad esempio se un mese fa un Cds sul debito a 5 anni costava 137, oggi quello stesso contratto costa 174: 37 punti base in più in un mese. Il contratto a 10 anni è passato da un costo di 201 a 248, 47 punti base in più in un mese.

I CREDIT DEFAULT SWAP SUL DEBITO ITALIANO A 5 ANNI
Il costo delle “assicurazioni” sul fallimento dell'Italia

Il rincaro delle polizze sull’Italia è legato senza dubbio all’incertezza sul referendum. Segno che i mercati stanno iniziando a prezzare anche l’ipotesi di una vittoria del “No” che, stando agli ultimi sondaggi disponibili prima del divieto, erano (per quel che può valere) in vantaggio.

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