Doveva essere un’operazione di mercato di respiro globale, condotta da quella che ormai è una public company. Invece per la seconda volta in un mese il destino del Monte dei Paschi è nelle mani delle sue 2mila filiali. Cioè della rete che mantiene i rapporti con il pubblico retail, che - nonostante gli ultimi cinque anni di fuoco - conta ancora 5 milioni di clienti. Non fosse stato per le 15mila deleghe dei piccoli soci, contattati ad uno ad uno da direttori di filiale e gestori (e dal proxy advisor), l’assemblea straordinaria del 24 novembre non si sarebbe neanche tenuta: niente quorum, niente via libera al piano di ricapitalizzazione.
Ora, un copione non dissimile si presenta per l’aumento: le speranze, ridotte a poco più di un lumicino se si fa la tara al necessario ottimismo di facciata, sono tutte riposte nei 40mila obbligazionisti subordinati ai quali verrà proposto di convertire i propri titoli acquistati poco meno di dieci anni fa (e quindi vicini alla scadenza naturale) in azioni. In pratica, si cercherà di far capire loro che trasformando il proprio investimento in un titolo più rischioso, contribuiranno a evitare un pericolo maggiore, cioè la nazionalizzazione con tutte le incognite sulla conseguente conversione obbligatoria.
C’è un’evidente forzatura in tutto questo, come dimostra la lunga interlocuzione con la Consob di queste ore. Certo, la situazione rischia di sfuggire dal controllo, e così l’aumento di capitale in poche settimane si è trasformato da un possibile affare a al pericolo concreto di un buco nell’acqua, al punto che la priorità oggi è limitare i danni.
Ma dalle sventure del Monte, che prima si è trovato costretto a chiamare a raccolta i suoi azionisti storici, che hanno visto quasi azzerato il loro investimento, e poi a stretto giro i piccoli obbligazionisti, che ai tempi sottoscrissero un subordinato Mps ritenendolo pressoché equivalente a un BTp, c’è forse da trarre una lezione. Che riguarda le banche, i mercati, le regole: con l’aria che si respira intorno al settore, non c’è da farsi grandi illusioni sull’appeal di mercato
E, stando alle previsioni, poco cambierà nel breve periodo. Le banche più deboli saranno sempre di più destinate a diventare terreno di scorribanda per hedge fund e investitori sul breve, che comprano per vendere non appena l’altissima volatilità offre loro un buon motivo per farlo. A investitori di questo tipo, che spesso non sanno neanche su chi investono, non può essere chiesto di fare scelte responsabili. E il cerino, inevitabilmente, è destinato a rimanere a chi resta: le filiali, con i loro clienti storici. Alle regole, ciniche per natura, non si può chiedere di tenerne conto. Ai regolatori forse sì.
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