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Mps torna pubblica, che cosa cambia per i risparmiatori

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Mps torna pubblica, che cosa cambia per i risparmiatori

«La difficile arte del banchiere» è la raccolta di scritti di Luigi Einaudi pubblicata da Laterza e distribuita dall’Associazione bancaria italiana come strenna natalizia. Oggi però, nel momento in cui il Monte dei Paschi di Siena viene nazionalizzato di fatto dopo il fallimento dell’operazione di salvataggio “privata”, è ben più difficile l’arte del risparmiatore. Con il “burden sharing” cosa succede agli azionisti? Cosa accade ai detentori di obbligazioni subordinate? E a quelli che hanno bond “senior”? E i correntisti, possono stare tranquilli?

IL VALORE DEI BOND MPS
Valutazione dei subordinati ai fini della conversione in nuove azioni(Fonte: Decreto ministeriale del 23 dicembre 2016)

Partiamo da un’osservazione preliminare. Il fallimento del salvataggio “privato” di Mps non deriva dalla mancata adesione dei risparmiatori che avevano in portafoglio bond subordinati all’offerta di conversione in azioni. I risparmiatori, pur di salvare almeno in parte i loro risparmi, hanno in gran parte aderito al piano. A non aver avuto fiducia nel futuro del Monte sono stati gli investitori che avrebbero dovuto aderire alla fase 2, l’aumento di capitale. I fantomatici “anchor investor”, che fossero del Qatar o della Cina, non si sono visti e la loro latitanza ha determinato il fallimento dell’offerta azionaria destinata a raccogliere la cifra mancante tra i 2,45 miliardi di bond subordinati offerti alla conversione e i 5 miliardi di rafforzamento patrimoniale richiesto. Poiché il consorzio dell’aumento non offriva la garanzia di subentro per la quota inoptata, la seconda gamba del piano è saltata.

A questo punto lo Stato è intervenuto con il decreto legge varato dal Consiglio dei ministri nella notte del 22 dicembre. È intervenuto in via precauzionale, per evitare rischi sistemici da un problema di sostenibilità di Mps che a ora non c’è ma che ci potrebbe essere a mesi, visto anche il calo degli indici di liquidità della banca dovuto alla fuga dei depositi. Eppure i depositi non sono per nulla a rischio, né sopra né sotto la soglia dei 100mila euro, così come i bond “senior” (i non subordinati). Perché? Perché Mps non è (ancora) nella situazione di insolvenza che richiederebbe un bail in o una misura di “risoluzione” come quella approvata il 22 novembre 2015 per Popolare Etruria, Banca delle Marche, CariFerrara e CariChieti. Si trova però in una situazione di “rischio” e dunque richiede un intervento preventivo. Questo intervento preventivo, in base al decreto legislativo 180 del 16 novembre 2015, che ha recepito in Italia la direttiva sulla risoluzione delle crisi bancarie (Brrd), prende la forma di “burden sharing”, cioé di compartecipazione dell’onere del salvataggio tra diverse categorie di stakeholder, cioé di portatori di interessi (è la forma di salvataggio precauzionale che fu applicata nel caso di Tercas). Le categorie coinvolte sono gli azionisti e i detentori di bond subordinati, che dovranno sopportare l’onere del salvataggio insieme allo Stato. Vediamo come.

Lo Stato, con il decreto varato nella notte del 22 dicembre, sulla scorta dell’autorizzazione ottenuta del Parlamento (e del via libera di Bruxelles), utilizzerà — per Mps e per altre banche in situazioni di necessità (Veneto Banca e Popolare Vicenza ma anche banche minori) —, sino a 20 miliardi provenienti dall’aumento dei debito pubblico. Li utilizzerà per entrare nel capitale di Mps per un periodo predeterminato in accordo con l’Unione Europea, probabilmente inferiore a 18 mesi, diluendo fortemente le azioni in circolazione. Gli azionisti attuali quindi perderanno gran parte del valore del loro investimento.

Poi si passerà ai subordinati che saranno convertiti in azioni di nuova emissione. Si convertiranno innanzitutto in azioni i bond subordinati Tier 1; se questi non basteranno a mettere in sicurezza la banca si convertiranno i subordinati Tier 2; se nemmeno questi basteranno a mettere in sicurezza la banca, si passerà a tutti gli altri bond subordinati. A quel punto, in base alle norme europee che prevedono la possibilità di prevenire o evitare liti giudiziarie per chi ritenesse di essere stato danneggiato dalla sottoscrizione di titoli rischiosi di cui non gli era stata spiegata correttamente la natura al momento della sottoscrizione (misselling), la banca potrà chiedere un intervento per evitare liti legali legate al collocamento di questi titoli, che potrebbe non essersi svolto in modo corretto in funzione dei profili degli investitori. A questi azionisti “forzati” la banca proporrà di riacquistare “in nome e per conto del ministero” le azioni derivanti dall’applicazione del “burden sharing” offrendo in cambio come corrispettivo «obbligazioni non subordinate emesse alla pari» da Mps o da società del suo gruppo per un valore nominale pari al prezzo corrisposto dal ministero.

Saranno esclusi però da questo concambio tra vecchi subordinati, nuove azioni e nuovi bond “senior”, molto macchinoso, le “controparti qualificate” e i “clienti professionali”. Le controparti qualificate sono le imprese di investimento, le banche, le imprese di assicurazioni, i fondi comuni, i gestori, i fondi pensione, gli intermediari finanziari, gli istituti di moneta elettronica, le Fondazioni bancarie, i Governi nazionali e i loro corrispondenti uffici, compresi gli organismi pubblici incaricati di gestire il debito pubblico, le Banche centrali e le organizzazioni sovranazionali a carattere pubblico. I clienti professionali sono quelli profilati come tali dal proprio intermediario, cioé quelli ritenuti in grado di prendere autonomanente decisioni d’investimento e di capire i rischi connessi. Può essere classificato come cliente professionale solo chi soddisfa almeno due dei seguenti criteri: ha svolto frequentemente operazioni finanziarie; ha un ampio portafoglio titoli; ha lavorato nel settore dei servizi d’investimento. Costoro rimarranno nuovi azionisti. Invece i risparmiatori, cioé i clienti retail, specialmente quelli che hanno sottoscritto il bond subordinato non quotato da 2,16 miliardi, codice Isin IT0004352586 upper Tier 2 (più rischioso dei lower Tier 2 per istituzionali) scadenza 15 maggio 2018 a tasso variabile con taglio da 1.000 euro, potranno convertire il valore delle nuove azioni Mps in bond senior. Nel frattempo, per evitare speculazioni, tutti i titoli quotati di Mps (l’azione e 105 bond) sono stati “sospesi” su tutti i mercati.

A questo punto si apre comunque una serie di problemi. Ad esempio si acuisce lo scontro con i risparmiatori “azzerati” il 22 novembre 2015, per i quali il “ristoro automatico” è assai farraginoso e manca ancora la norma sull’arbitrato all’Autorità anticorruzione. Nel frattempo tra l’altro tra poco partirà l’Arbitro Consob. Ma non basta: i risparmiatori “vecchi” azionisti, diluiti dal burden sharing, sono già sul piede di guerra. C’è poi l’effetto contagio sistemico sui subordinati: il crollo dei corsi dei bond subordinati di Mps delle ultime sedute ha coinvolto i subordinati di altri istituti. In base ai dati di Skipper Informatica, il 22 dicembre il subordinato Veneto Banca primo dicembre 2025 Isin XS1327514045 quotava a 46,09 con un rendimento effettivo lordo annuo a scadenza del 27,43%; il sub Vicenza 24 giugno 2018 Isin IT0004724214 trattava a 64,69 con un rendimento del 38,48%; il sub Carige 20 dicembe 2020 7,321% Isin XS0570270370 quotava 69,93 e rendeva il 18,66% lordo.

Il problema riguarda dunque l’effetto sistemico di questa nazionalizzazione di fatto. Salvare Mps con un intervento pubblico si poteva realizzare anche in estate, alle stesse condizioni di oggi, o senza danni ai risparmiatori purché prima del varo della direttiva Brrd avvenuto del 15 maggio 2014. Perché si è deciso di procrastinare il salvataggio sino a oggi?

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