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Mediobanca colta di sorpresa dal blitz del Leone

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l’analisi

Mediobanca colta di sorpresa dal blitz del Leone

L’ingresso di Mediobanca (Imagoeconomica)
L’ingresso di Mediobanca (Imagoeconomica)
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«Generali è concentrata sul piano industriale; non ci risultano contatti con nessuno». In Piazzetta Cuccia si tenta di capire l’origine delle voci intorno a Generali: l’impressione è che Mediobanca sia davvero oggetto e non soggetto della partita. Che Allianz possa aver messo occhi sul Leone suona strano, perchè il colosso tedesco ha già rilevato, ormai da tempo, l’ex Ras ed è uno dei primi attori sul mercato assicurativo italiano. Analogamente, la Germania è uno dei mercati principali per Generali, che, dopo l’acquisizione di Amb, è diventato il secondo player nel settore dietro appunto Allianz.

Troppi problemi di sovrapposizione e antitrust con Allianz, quindi. Inoltre i tedeschi di solito non si muovono se non “invitati”. E Axa? Un’aggregazione con Generali è plausibile da decenni, ma perchè rompere gli indugi proprio ora che i francesi in Italia sono accusati di “aggressività “ finanziaria? Ad ogni modo, non risulta che in questo momento Mediobanca stesse lavorando a una fusione con il potente cugino transalpino, anche se il ceo del Leone, Philippe Donnet, viene da lì. Tanto meno Piazzetta Cuccia è stata informata di eventuali programmi altrui.

E dunque? L’impressione - perchè per ora si possono solo fare supposizioni - è che si stia aprendo una partita di riassetto di potere in Italia, tant’è che la mossa “anti-scalata” di Generali è stata rivolta a Intesa-Sanpaolo, indiziato nostrano di difesa dell’italianità del Leone, con l’ingresso preventivo al 3% nel capitale della banca: si vedrà nei prossimi giorni quanto l’azione sia stata efficace.

Potrebbe in teoria andare in scena una sorta di replica del blitz operato nel 2003 da UniCredit, Capitalia e Mps che avevano rastrellato il 10% di Generali, al dichiarato scopo - anche allora - di “difenderne l’italianità”. Intesa, che era già nel capitale, era rimasta però fuori dalla cordata tricolore. La cosa poi si risolse con dismpegno progressivo delle tre banche da Generali e con la contestuale estromissione dalla sala di comando di Mediobanca dell’allora amministratore delegato Vincenzo Maranghi. Con l’occasione si ridisegnò il patto di Piazzetta Cuccia, aprendo il club alla cordata di azionisti internazionali capitanata da Vincent Bolloré. La differenza è che quattordici anni fa a fare il blitz erano stati i due principali azionisti di Mediobanca, mentre oggi la supposta insidia arriva dall’esterno.

Salvo che si concretizzi un’offerta pubblica volta a rivoluzionare l’assetto della compagnia triestina - che è un’ipotesi tutt’altro che peregrina - allo stato Mediobanca è ancora la porta d’ingresso a Generali, una delle pochissime multinazionali finanziarie del Bel Paese e grande acquirente di bond della Repubblica italiana. Piazzetta Cuccia detiene una quota superiore al 13% in Generali, unica partecipazione strategica, confermata anche dopo il programma di smantellamento delle partecipazioni storiche che ha avuto impulso decisivo nel passato triennio. Scendere al 10%, cedendo il 3% del Leone, faceva parte del piano industriale, terminato a giugno senza che ciò accadesse, e un’ipotesi ancora riproposta nel nuovo piano triennale, che però oggi è considerata «un’opportunità e non un obbligo». Per l’entrata in vigore delle nuove regole europee, dal 2019 la partecipazione in Generali dovrà essere dedotta integralmente dal patrimonio di vigilanza e non più al 50% come avviene oggi. Ma le partecipazioni, e in primis proprio Generali, contribuiscono oggi al 37% dell’utile lordo della banca. Inoltre il rendimento del capitale allocato su Generali è del 17%, difficile trovare di meglio. Piazzetta Cuccia potrebbe anche permettersi di “pagare il conto” del maggior assorbimento di capitale, arrivando con l’intera quota al 2019. Il rendimento di Generali scenderebbe, ma al pur sempre a un non disdegnabile 12%, e il common equity tier 1 di Mediobanca - a parità di altre condizioni - calerebbe all’11%, non troppo distante cioè dall’oltre 12% di oggi.

Dunque, semmai, il problema non è tanto la stabilità di Mediobanca nell’azionariato di Generali, quanto piuttosto la stabilità stessa dell’azionariato di Piazzetta Cuccia. A fine anno scade infatti il patto che oggi vincola il 31% del capitale. Il primo azionista, con l’8,56%, è UniCredit, che dalla Bce - a quanto si dice negli ambienti finanziari - avrebbe ricevuto il suggerimento di alleggerire la quota nella banca d’affari milanese, cosa che per il momento non ha avuto seguito. Ma, a sua volta, come uscirà cambiato l’azionariato della banca di Piazza Cordusio - oggi è guidata dal francese Jean Pierre Mustier (ex SocGen) - dopo la ricapitalizzazione monstre da 13 miliardi che è sulla rampa di lancio? Il secondo azionista, con l’8%, è Vincent Bolloré, finito in scontro - sulla contesa Mediaset - con un altro azionista del patto, la Fininvest della famiglia Berlusconi che ha l’1% diretto ed è socio di peso in Mediolanum, che a sua volta è il terzo azionista del patto con una quota del 3,34%.

In questo contesto, difficile che il rinnovo del patto di Piazzetta Cuccia si risolva in una messa cantata. Oltretutto quest’anno la situazione è resa più fluida dalla contemporanea scadenza del consiglio di amministrazione, anche se l’ad Alberto Nagel si è portato avanti col piano, che è un programma d’azione per il prossimo triennio, approvato senza frizioni dall’attuale assetto.

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