Il Dow Jones è volato oltre 20mila punti. Gli investitori hanno festeggiato e stappato bottiglie di champagne. Sennonché, senza sconfinare nel pessimismo-a-tutti-i-costi, una domanda è lecita: Wall Street è rischio bolla? Dare una risposta è difficile. Nel recente passato diversi esperti hanno messo in guardia dagli eccessi del listino statunitense. Il quale, però, se ne è infischiato dei ripetuti allarmi e ha proseguito la sua corsa. Ciò detto alcune considerazioni possono comunque realizzarsi.
I buy back
In primis va ricordato che un decennio di politiche monetarie ultra espansive, da parte delle banche centrali, ha modificato l’habitat in cui vivono le Borse. Utilizzare solamente multipli tradizionali, quale il rapporto tra prezzo e utili, non è quindi sufficiente. Il rischio è raccontare metà della storia. In tal senso un primo aiuto lo fornisce l’analisi dei buy back. Il riacquisto di azioni proprie, infatti, è stato uno degli strumenti più usati per sostenere (artificialmente) i corsi azionari. La dinamica prosegue? Secondo Yardeny Research nel terzo trimestre del 2016, dato più recente, i buy back sono rimasti elevati (circa 450 miliardi di dollari) ma sono scesi rispetto ai quarter precedenti. Il trend, peraltro, potrebbe essere confermato in questo avvio del 2017. Il rialzo dei tassi, infatti, rende più costoso prendere soldi a prestito per finanziare simili operazioni. Di qui l'ipotesi che concretizzare buy back possa essere un po' più difficile.
Il rendimento del decennale statunitense
Ma non è solamente questione di riacquisto di azioni proprie. Altro elemento, più tradizionale, per valutare lo stato di salute di Wall Street è quello del raffronto tra il rendimento azionario e quello dei titoli di Stato. Di solito il ragionamento che, su questo fronte, si effettua è il seguente: più sale il prezzo del TBond e più scende l’appeal di Wall Street. La correlazione inversa, che spesso nel recente passato non aveva funzionato, sembra essersi di nuovo messa in moto. Il tasso del titolo di Stato Usa decennale è arrivato intorno al 2,5%. Contestualmente l'azionario è salito. Insomma: l’appetito per il rischio (acquisto di azioni e vendite sui governativi) è indubbiamente salito. Spinto da che cosa? Beh, un ruolo importante lo recita l’innamoramento per la «Trumpenomic». È l'idea che le proposte del neo presidente statunitense (dal taglio delle tasse sui profitti aziendali fino al programma d'investimenti infrastrutturali) possa veramente sostenere il rally di Wall Street.
I multipli
Tutto rose e fiori, quindi? Il mondo è ovviamente più complesso. Se si guarda, infatti, ad altri indicatori la realtà appare meno confortante. Il rapporto prezzo/utili sull'S&P500, calcolato da Shiller, viaggia attualmente intorno a 27,8. Cioè: un valore che è il 72% più in alto della sua media storica. Non solo: secondo quanto riportato dal WSJ il P/e, sul Dow Jones, nel momento in cui il paniere aveva superato quota 15mila (7 maggio 2013), si trovata intorno a 15. Vale a dire: un valore ben inferiore all'attuale. Infine: il rapporto tra la capitalizzazione complessiva delle Borse Usa ( Wilshire total market) e il Pil statunitense è arrivato al 128,9%. Una percentuale che, secondo GuruFocus, indica la forte sopravvalutazione del listino. Insomma: è possibile che la spinta legata alle attese per il tocco magico di Donald Trump (tutto da dimostrare) possa proseguire. Ma è chiaro che i fondamentali segnalano come Wall Street stia giocando una partita non legata all'economia reale.
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