L’auto elettrica forse ci libererà dall’assillo del caro petrolio. Ma nei prossimi anni rischiamo di dover fare i conti con un’altra emergenza prezzi: quella delle materie prime con cui si costruiscono le batterie. Non solo il litio, ma anche – anzi soprattutto – il cobalto e la grafite, che mostrano condizioni di mercato molto più critiche.
L’«effetto Tesla» potrebbe inoltre farsi sentire su nickel, alluminio, manganese e rame (quest’ultimo per i circuiti elettrici), anche se questi metalli hanno un mercato molto più ampio e diversificato, per cui i consumi aggiuntivi derivanti dalla diffusione dei veicoli a batteria dovrebbero incidere meno.
Il boom del litio – un materiale con impieghi marginali prima del diffondersi delle batterie a ioni di litio – ha già fatto discutere parecchio. I produttori tradizionali, concentrati soprattutto in Cile, Argentina e Bolivia, hanno risposto in ritardo al risveglio dei consumi e i prezzi del carbonato di litio sono andati alle stelle tra il 2015 e il 2016, passando da 7-8 dollari per chilogrammo a 26,6 $/kg ad aprile dell’anno scorso sul mercato spot cinese. I contratti di fornitura per il 2017 sono quasi raddoppiati di conseguenza, a 10-16 $/kg. Ma il mercato ha già cominciato a raffreddarsi, con prezzi che sono ritornati in un range tra 18 e 21 $.
Le risorse di litio sono abbondanti e ci sono già parecchi investimenti in stadio avanzato per espandere la produzione, tanto da non sollevare grandi allarmi sulla futura disponibilità. Gli analisti di Cru Group ritengono addirittura che nei prossimi 5 anni ci sia addirittura «il potenziale per un significativo eccesso di offerta», se tutti i progetti annunciati venissero davvero realizzati nei tempi previsti.
Ben diversa la situazione per il cobalto e la grafite, che nelle batterie a ioni di litio vengono utilizzati in quantità rilevanti: in una Tesla Model S si stima ci siano 63 kg di carbonato di litio, ma anche 54 kg di grafite e 22,5 kg di cobalto.
I prezzi di quest’ultimo sono già impazziti: dallo scorso settembre il rialzo è di quasi il 50%, a 19 dollari per libbra, un record da 5 anni. Ad alimentare il rally ha contribuito l’azione di accaparramento avviata da alcuni fondi, che stanno speculando proprio sulle forti prospettive di crescita della domanda legate alla diffusione delle batterie a ioni di litio. Tra questi ci sono il fondo svizzero Pala Investments e, a quanto si dice, anche il cinese Shanghai Chaos, già noto per i raid sul rame al London Metal Exchange.
Lo stesso Lme ha un contratto sul cobalto, ma non è ancora abbastanza liquido per soddisfare gli speculatori, che preferiscono acquistare metallo in forma fisica. Il mercato, dopo 7 anni di surplus, finirà probabilmente in deficit già quest’anno, per circa 900 tonnellate. E il gap tra domanda e offerta rischia di raggiungere 5.340 tonnellate nel 2020 secondo Macquarie.
La produzione, intorno a 100mila tonnellate l’anno, estratte quasi tutte insieme a rame o nickel, è concentrata per il 60% nella Repubblica Democratica del Congo, un Paese altamente instabile e con una pessima reputazione sul fronte dei diritti civili. L’Unicef denuncia che nelle miniere di cobalto, spesso artigianali, vengono sfruttati 40mila bambini. Le miniere più grandi fanno gola ai big dell’industria estrattiva: questa settimana Glencore è salita al 100% del capitale di Mutanda, il maggior deposito di cobalto al mondo, mentre la cinese China Molybdenum l’anno scorso ha messo le mani su Tenke Fungurume.
La grafite non sembra invece essersi ancora risvegliata all’effetto Tesla: i prezzi, che erano più che triplicati nel 2011, ora si sono riportati ai livelli del 2008 e sono piuttosto stabili. L’offerta, concentrata al 60% in Cina, si stima che sia tuttora in eccesso. Ma il conto alla rovescia è cominciato.
Solo per alimentare la Gigafactory di batterie che Tesla sta costruendo in Nevada serviranno 126mila tonnellate l’anno di grafite in fiocchi, oltre il 10% dell’attuale produzione globale. E nel mondo ci sono in costruzione una quindicina di fabbriche di batterie di analoghe dimensioni, di cui 7 in Cina, che quindi in futuro potrà esportare meno.
La grafite si può anche produrre in forma sintetica, ricavandola dal coke di petrolio o altri composti del carbonio, ma il processo è molto costoso e inquinante.
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