C’è stato un momento in cui Twitter e Facebook avevano lo stesso prezzo per azione: 62 dollari. Siamo al 31 gennaio 2014. Facebook aveva superato l’esordio difficile e già volava, a distanza di 20 mesi dall’Ipo, con un plusvalore borsistico del 60%. Andava bene anche Twitter, il social network dei cinguettii, quello dei post da 140 battute. Sbarcato al Nasdaq nel novembre 2013 a 26 dollari per azione, il titolo ha fatto il botto all’esordio con un rialzo giornaliero del 73%. Il rialzo è proseguito fino a dicembre 2013 quando toccava il massimo storico a 63,75, che corrispondeva a un picco del 145% rispetto al prezzo di collocamento.
Dopodiché le strade finanziarie di Facebook e Twitter - due tra i social network più utilizzati al mondo - si sono separate. A tal punto che oggi il prezzo di Facebook viaggia sui massimi storici a 136 dollari mentre un’azione di Twitter è scesa sotto i 16 euro. In termini di capitalizzazione Facebook vale 400 miliardi, Twitter 11, circa 40 volte in meno. Come mai? Cerchiamo di capire perché.
Facebook è partita male ma poi ha preso il largo
Nel 2012 quando sbarcava a Wall Street a 38 dollari per azione (che portavano la sua capitalizzazione d’esordio a 100 miliardi di dollari) molti analisti erano scettici sul futuro di Facebook. Le prove da superare per la net-company del momento erano numerose. A cominciare dalla diffidenza degli investitori verso le net stocks dopo le scottature della bolla del 2000. Una bolla difficile da smaltire, considerato che il Nasdaq solo da poco ha superato i livelli raggiunti 17 anni fa.
Facebook oggi vale 136 dollari per azione, ovvero 400 miliardi. In meno di cinque anni ha quasi quadruplicato (+257%) il suo valore di Borsa ripagando ampiamente chi ha deciso di puntarvi sin dalle prime battute. Eppure l’avvenutura del social network più utilizzato al mondo non era cominciata nel migliore dei modi. Il debutto nel maggio 2012 si era rivelato un flop e dopo appena 11 giorni il valore del titolo era crollato del 25% a 28 dollari. L’unico modo che la società fondata da Mark Zuckerberg aveva per smentire i critici era quello di battere le stime. Ed è ciò che l’azienda ha costantemente fatto. Anche l’ultima trimestrale, relativa ai conti di fine 2016, ha superato le previsioni degli analisti. I ricavi sono saliti del 51% a 8,81 miliardi, 300 milioni meglio delle attese. Nello stesso arco temporale Facebook ha riportato un utile netto di 3,57 miliardi, più del doppio del risultato di un anno prima. L’utile per azione (1,41 dollari) ha battuto del 7,6% il consensus (1,31).
Fa una certa impressione, poi, leggere il numero degli utenti attivi su base giornaliera: siamo a quota 1,23 miliardi, che diventano 1,87 miliardi nel conteggio di chi accede al sito almeno una volta al mese. La società è riuscita a centrare la transizione del modello di business verso il mobile, uno dei fattori di rischio presentati nel documento di Ipo (Initial public offering) agli investitori. Il 90% degli utenti accede oggi a Facebook tramite lo smartphone. Non a caso i ricavi arrivano per l’84% dall’area mobile (nel 2015 erano all’80%). Nonostante il prezzo sia sui massimi di tutti i tempi e prezzi 39 volte gli utili (un multiplo elevato ma non esagerato per una web-company) recentemente JP Morgan, Deutsche Bank e Morgan Stanley hanno coralmente alzato il target price.
Twitter è partita col botto ma poi ha frenato
Sbarcato al Nasdaq nel novembre 2013 a 26 dollari per azione Twitter ha fatto il botto all’esordio con un rialzo giornaliero del 73%. Il rialzo è proseguito fino a dicembre 2013 quando toccava il massimo storico a 63,75, che corrispondeva a un picco del 145% rispetto al prezzo di collocamento.
Da allora, tra alti e bassi, il titolo della società fondata da Jack Dorsey (che dal 2015 è anche ceo) ha intrapreso un declino che lo ha condotto nel giugno scorso al minimo storico di 14 dollari. Oggi un’azione di Twitter vale poco meno di 16 dollari, il 38% in meno rispetto al prezzo dell’Ipo e il 75% dal record. La capitalizzazione è di poco superiore agli 11 miliardi, circa 40 volte inferiore rispetto a quella di Facebook. Cosa è successo? Semplice, Twitter sta facendo fatica a mettere in fila una progressione convincente di ricavi. Nell’ultimo quarto del 2016 la società ha realizzato ricavi per 717 milioni, contro i 740 milioni del consensus, corrispondenti a un aumento dell’1% su base annua, il minor tasso di crescita da quando è quotata.
L’utilizzo medio giornaliero attivo è salito dell’11% rispetto al +7% del terzo trimestre. Ma il fatturato pubblicitario è leggermente diminuito a 638 milioni. Nel complesso, in tutto il 2016 Twitter ha visto aumentare i ricavi del 14% a 2,5 miliardi, con perdite nette per 456 milioni. Un po’ meglio rispetto ai 521 milioni persi del 2015. I numeri però sono contradditori. Ed è anche per questo che negli ultimi anni si è assistito a continui esodi tra i top manager. A fine 2016 ha lasciato dopo cinque anni il direttore tecnologico Adam Messinger, così come il direttore operativo Adam Bain. La squadra è oggi completamente rinnovata. L’obiettivo è aumentare utenti (Instagram lo ha superato) e i ricavi. Anche perché Twitter vive un dilemma. Piace a tutti (è tra gli strumenti di comunicazione ufficiali più utilizzati nelle campagne elettorali) ma, a differenza di Facebook che va a gonfie vele con le “Facebook ads”, fa fatica ad esprimere il suo potenziale quanto si tratta di monetizzare. Fare business con i social non è affatto scontato: ce lo insegna anche RenRen (il “Facebook” cinese) che ha perso il 91% in Borsa dall’Ipo nel 2011.
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