Il peso della politica sui mercati. Un tema controverso. Nel recente passato è parso chiaro che l’approssimarsi di eventi, quali ad esempio un’elezione politica, sia stato usato (anche) dalla speculazione. Il meccanismo è stato il seguente. Si costruisce, o si agevola, una situazione la cui struttura logica può riassumersi nel seguente modo: se il risultato del voto è «A» allora le ripercussioni sui listini saranno gravissime; se, al contrario, prevarrà «B» tutto andrà per il meglio. In contemporanea, nel periodo antecedente alle votazioni, la volatilità delle Borse cresce. Soprattutto perchè si sparge l’idea che la percentuale di probabilità di «A» sale sempre di più.
Sennonché qualcosa, dopo, non torna. Infatti è accaduto più volte che, nonostante sia sia concretizzato l’esito considerato nefasto, il Vix come per incanto è calato. Certo: può obiettarsi che la valutazione basata su di un solo indicatore (il Volatility index, per l’appunto) è parziale. E tuttavia: nelle occasioni considerate (dalla Brexit alle presidenziali Usa fino al referendum costituzionale in Italia) le valutazioni di molti esperti, nell’ipotesi della vittoria di «A», erano improntate al pessimismo. Il quale, nonostante l’avverarsi proprio di «A», si è tuttavia via via dissolto. Una sorta di «ricatto della paura», insomma, che è stato sfruttato a piene mani dagli hedge fund per fare soldi.
Ciò detto il signor Rossi domanda: sta accadendo la medesima cosa per le elezioni presidenziali francesi? La risposta è difficile. In primis non può escludersi che il (giusto) timore per le forze anti-euro, cioè il partito guidato da Marine Le Pen, abbia innescato il «ricatto della paura». Al di là, però, di questa considerazione la realtà appare diversa rispetto alle precedenti situazioni. La Le Pen ha con forza sostenuto l’intenzione di abbandonare l’euro. O, quanto meno, di rivedere la posizione della Francia (seconda economia dell’Unione) all’interno di Eurolandia. Il che, ovviamente, crea una situazione di maggiore apprensione rispetto al referendum in Italia o alle stesse passate elezioni presidenziali Usa.
Ecco, quindi, che gli operatori chiedono un maggiore premio al rischio per investire nel Vecchio continente. Soprattutto sugli asset dei Paesi coinvolti direttamente nella tornata elettorale. In una parola pretendono un dividendo in più: il dividendo della politica. La riprova? La forniscono diversi indicatori. Così, tra gli altri, il Cds su debito sovrano a 5 anni di Parigi è passato da circa 35 dollari di inizio anno agli attuali 60. Certo: a fine febbraio la «polizza» per coprirsi dall’eventuale default transalpino era oltre quota 70. Tuttavia: da un lato il Cds era calato proprio con le indicazioni che la Le Pen perdeva «qualche colpo»; e, dall’altro, ha ripreso quota a fronte dei problemi giudiziari del candidato del centro-destra François Fillon (cui non è subentrato Alain Juppé).
Ma non è solo questione di Cds. L’open interest (cioè la differenza tra le posizioni lunghe e corte) del future sul debito francese a 10 anni è aumentato notevolmente. Una dinamica che, essendo contestuale alla discesa del future, è da attribuirsi soprattutto all’incremento delle posizioni ribassiste. Il tipico segnale, cioè, di chi si «protegge» dall’eventuale calo delle quotazioni del titolo di Stato.
Dai bond alle azioni. I titoli delle principali banche francesi, che notoriamente sono una buona cartina tornasole del rischio finanziario di un Paese, hanno sottoperformato il paniere di riferimento Stoxx Europe 600 bank. Su base normalizzata, nel 2017, Société Généralé e Bnp Paribas cedono circa il 1,5%. L’indice paneuropeo, al contrario, sale di oltre il 3 per cento. L’indizio, insomma, che gli operatori sono timorosi rispetto a quanto può accadere a Parigi.
Già, Parigi. Ma quale allora la posizione di Roma? Anche in Italia, inutile negarlo, la situazione è difficile. Dall’estero, giusto o sbagliato che sia, la stabilità dell’attuale governo è considerata quasi inesistente. Un contesto che, immancabilmente, si riflette sui mercati. In tal senso i Cds sul debito quinquennale dal dicembre scorso sono in rialzo. Anche qui (come in Francia), a fine mese scorso, la pressione era un po’ diminuita. Nel più recente passato, però, la quotazione del Credit default swap è risalita. Per non parlare, poi, dello stesso Open interest sul future del BTp a 10 anni. Di nuovo si ripete la stessa storia vista al di là delle Alpi. L’indicatore è aumentato in contemporanea con la discesa del future. Il segno che gli investitori si sono«coperti» rispetto ad eventuali future dinamiche del nostro governativo.
Infine l’andamento dei listini. Da inizio anno Wall Street sale di quasi il 6 per cento. L’Europa, dal canto suo, viaggia a un ritmo ben più lento. E, guarda caso, il Ftse Mib (Milano) e il Cac40 (Parigi) sono gli indici con la performance più debole. Un caso? Può darsi. A ben vedere, però, diversi esperti sottolineano che di nuovo le due Borse pagano lo scotto della variabile politica.
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