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Shale oil, con la produzione accelerano anche i costi

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Shale oil, con la produzione accelerano anche i costi

(Reuters)
(Reuters)

Il petrolio è scivolato di nuovo sotto 50 dollari, ma gli americani dello shale oil – a differenza dei produttori Opec – non sembrano affatto preoccupati: questa settimana negli Stati Uniti sono tornate in funzione altre 21 trivelle, il maggior incremento da gennaio, e il conteggio totale di Backer Hughes è salito a 652, il doppio rispetto ai minimi di maggio. L’ulteriore accelerazione è destinata ad alimentare il dibattito sull’opportunità di una proroga dei tagli di produzione da parte dell’Organizzazione degli esportatori di petrolio e dei suoi alleati. Domani a Kuwait City ci sarà un nuovo incontro del comitato di monitoraggio, che probabilmente farà pressione sulla Russia e sugli altri Paesi non Opec, ancora indietro rispetto agli obiettivi di riduzione proprio mentre i frackers americani stanno tornando in attività in modo frenetico. Tanto frenetico che Halliburton, uno dei big dei servizi petroliferi, ha già riassunto 2mila persone negli Usa

È stata la stessa società a dichiararlo, comunicando al mercato che gli utili nel primo trimestre potrebbero essere inferiori alle attese addirittura del 70%: un “profit warning” tecnicamente, ma con i toni di un grido di battaglia. «Stiamo uscendo da una depressione memorabile e quello che dobbiamo recuperare è quasi senza precedenti», ha dichiarato il ceo Dave Lesar, spiegando che Halliburton sta accelerando la riattivazione di impianti – addirittura a un ritmo doppio rispetto a quanto aveva pianificato per il primo semestre – e la ricostituzione delle squadre di lavoro, che erano state decimate negli anni della crisi, quando era stata costretta a licenziare 35mila dipendenti (ora ne ha 50mila).

Il piano del ceo Lesar è «anticipare il più possibile i costi», per cui l’impatto sui conti sarà inevitabile. Ma l’obiettivo è che il sacrificio sia temporaneo. Il target di profitti per l’intero anno non è stato ritoccato: Halliburton è convinta di riuscire a tornare in forze rapidamente, cavalcando il nuovo boom delle trivellazioni negli Usa, che si sta rivelando più vigoroso di quanto avesse previsto.

Il messaggio è significativo, per tutto il settore petrolifero. Se Halliburton vincerà la scommessa, i suoi margini risaliranno rapidamente nel corso dell’anno. E dunque risaliranno anche i costi per le compagnie, che nel periodo di crisi erano riuscite a ridurre all’osso i compensi alle società di servizi.

Altri costi stanno già salendo, con un impatto anche sulla stessa Halliburton (che peraltro fa i conti con un mercato ancora molto debole fuori dal Nord America). In particolare si è impennato il prezzo della sabbia, che viene utilizzata in quantità crescenti per aumentare l’efficienza del fracking.

Halliburton, che non si è procurata forniture sufficienti per far fronte all’attuale boom, dovrà sopportare un costo supplementare di 50 milioni di $ nel trimestre. Oggi infatti sul mercato spot la sabbia costa circa 40 $/tonnellata negli Usa, contro i 15-20 $ che si pagavano a fine 2016 (e che secondo Tudor Pickering incidevano per il 5-7% sui costi di estrazione dello shale oil).

Le prospettive, a meno di una nuova frenata del fracking, sono di ulteriori rincari: secondo alcuni analisti è possibile che entro l’anno prossimo la domanda di sabbia superi l’offerta.

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