Andamento titoli
Vedi altroVietato tenere il piede in due scarpe, se l’una è Telecom e l’altra è Mediaset. L’Agcom, dopo una riunione che si è prolungata fino in tarda serata, ha concesso 12 mesi di tempo a Vivendi per “rimuovere la posizione vietata” dall’articolo 43, comma 11, del Tusmar e che inibisce appunto le commistioni tra i due gruppi italiani, dato che entrambi sono “dominanti” nei rispettivi settori. Soddisfazione è stata espressa da Mediaset che attende di «leggere il dispositivo per stabilire le azioni future», mentre Vivendi ha accolto «con sorpresa» la decisione dell’Authority riservandosi di adottare «ogni opportuna iniziativa in tutte le sedi competenti per tutelare i propri interessi».
Le mosse di Vivendi
Vivendi - lo segnala la nota da Parigi - è pronta a ricorre al Tar e, se necessario, anche alla Ue per contestare l’incongruenza tra le leggi italiane e il principio comunitario della libera circolazione dei capitali. Come minimo i ricorsi servirebbero a guadagnare tempo. Il gruppo presieduto da Vincent Bolloré ha investito infatti 3,8 miliardi per avere il 23,9% di Telecom Italia e circa 1,3 miliardi per il 28,8% del capitale di Mediaset (pari al 29,94% dei diritti di voto). Ai prezzi di Borsa attuali, smontare le partecipazioni comporterebbe una minusvalenza di un centinaio di milioni sul Biscione, ma dieci volte tanto, circa 1 miliardo, su Telecom. Per questo, indipendentemente da come Bolloré deciderà di muovere le sue pedine in Italia, Vivendi si è preparata ad affermare il controllo (di fatto) su Telecom. Ha avvisato la Ue che con l’assemblea del 4 maggio che rinnoverà il board potrebbe avere la maggioranza in consiglio, e per garantirsi il risultato ha arruolato il proxy advisor Sodali per convincere i fondi a votare per la sua lista: con il suo ceo, Arnaud de Puyfontaine, candidato alla presidenza esecutiva, punta a ottenere i due terzi dei posti. In sostanza, in questo modo la quota di Vivendi in Telecom dovrebbe beneficiare di un premio di maggioranza nel caso in cui fosse messa in vendita. A riguardo ambienti finanziari accreditano l’ipotesi che Bolloré possa essere tentato di cedere alle avances di Orange, più volte affiorate e più volte represse. Trattandosi dell’incumbent delle tlc, detentore della rete nazionale e dei cavi internazionali di Sparkle, il Governo italiano, nel caso, potrebbe avere qualcosa da dire a riguardo. Semmai Vivendi scendesse sotto il 10% di Telecom, non ci sarebbero più vincoli regolamentari a scalare Mediaset, che però dalla sua ha diverse armi a disposizione per difendersi.
La difesa di Mediaset
Fininvest controlla il 38,3% del capitale di Mediaset e il 39,8% dei diritti di voto, considerato che la società televisiva detiene azioni proprie per il 3,8% del capitale. Con la cessione del Milan la holding di casa Berlusconi avrebbe le risorse finanziarie per salire sopra il 50%. Ma le regole limitano al 5% annuo la possibilità di incrementare la quota, senza incorrere nell’obbligo di Opa. In questi giorni Fininvest ha riacquistato la possibilità di arrotondare la partecipazione fino a un altro 1,23% (dopo il 27 aprile, volendo, anche in un solo colpo), poi dovrebbe aspettare fino a dicembre per completare il rafforzamento con il primo 5%, e quindi avrebbe davanti un altro anno per salire di un ulteriore 5% (contano i diritti di voto).
Mediaset ha però a disposizione altri strumenti che permetterebbero di blindare a termine il controllo o comunque di aiutare l’azionista-fondatore a raggiungere lo scopo limitando gli esborsi. Fermo restando che, in qualsiasi modo lo si raggiunga, l’incremento di quota deve essere limitato al 5% all’anno per evitare l’Opa. Anzitutto, Mediaset può acquistare azioni proprie per un altro 6,2% del capitale e arrivare così al 10% di azioni proprie: la quota di Fininvest, così com’è, salirebbe al 42,5% dei diritti di voto oppure al 43,9% con l’1,23% che ha la facoltà di acquistare. Col buy-back, l’effetto collaterale sarebbe però quello di spingere Vivendi oltre la soglia del 30% che farebbe scattare l’Opa a carico dei francesi. Altra possibilità è l’introduzione in statuto del voto maggiorato che, per essere efficace, necessita di due anni di “maturazione”. Nel frattempo, per evitare sorprese, si dovrebbero cambiare le regole statutarie sulla nomina del consiglio che, se applicate con le quote attuali di Fininvest e Vivendi, assegnerebbero un peso analogo nel board ai due azionisti, se non addirittura un posto in più alla seconda. Per proporre misure straordinarie in assemblea, il fronte Fininvest/Mediaset dovrebbe assicurarsi di poter arginare, e già da subito, Vivendi entro il limite del 10% dei diritti di voto, perché altrimenti i francesi avrebbero in mano la minoranza di blocco.
Oggi Mediaset riunisce il cda per l’esame del bilancio. Poiché bastano 30 giorni di preavviso per la convocazione di dell’assemblea (o 40 giorni nel caso di nomina del consiglio), non è detto che il board del Biscione decida di calare tutte le carte già ora, visto che l’adunanza dei soci è in programma per fine giugno. Intanto in Borsa, il titolo Mediaset ha aperto la seduta in negativo ed è arrivato a perdere in mattinata oltre il 4 per cento.
Il matrimonio riparatore
Con la delibera Agcom dovrebbe essere più chiaro il contesto entro cui ricercare un eventuale accordo. Fino a ieri i tentativi di ricomposizione erano limitati ai contatti tra gli avvocati che, su invito del giudice Vincenzo Perozziello (presso cui pende la causa civile per il mancato rispetto del contratto su Premium), hanno fatto richiesta di mediazione presso la Camera arbitrale di Milano, procedura che deve chiudersi necessariamente nel giro di tre mesi.
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