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Opec alle corde: oltre allo shale oil c’è un boom di…

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prezzi del petrolio in calo

Opec alle corde: oltre allo shale oil c’è un boom di produzione in Libia

Bloomberg
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I sauditi promettono di fare «qualsiasi cosa serva» pur di risollevare il mercato del petrolio. Ma per l’Opec e i suoi alleati, che stanno valutando una proroga e forse un aumento dei tagli produttivi, le sfide si stanno moltiplicando. Non solo da parte dei concorrenti, ma anche dall’interno del gruppo, con la Libia (esentata da sacrifici) che è tornata ad estrarre ai ritmi di due anni fa.

Il rivale numero uno resta lo shale oil, che sta crescendo così rapidamente da portare gli Stati Uniti al traguardo dei 10 milioni di barili al giorno nel 2018, secondo le previsioni aggiornate ieri da Washington: una produzione media (solo di greggio, convenzionale e non) pari all’attuale output dell’Arabia Saudita e inferiore solo a quello della Russia, che estrae tuttora circa 11 mbg.

L’Energy Information Administration (Eia) prevede per quest’anno una media di 9,3 mbg negli Usa, in linea con gli attuali ritmi di estrazione, il che implica un’ulteriore robusta crescita nei prossimi mesi. «La produzione più alta negli Usa, insieme all’output crescente in Canada e Brasile – commenta l’Eia – dovrebbe esercitare pressioni al ribasso sui prezzi del petrolio fino alla fine del 2018».

Anche Paesi membri dell’Opec stanno intanto accelerando le estrazioni. La Libia in particolare, che era stata esentata dai tagli, è appena arrivata a 800mila barili al giorno, livello che non raggiungeva da ottobre 2014. All’epoca degli accordi Opec estraeva circa 600mila bg e in passato è scesa anche a 300mila bg, rispetto a un potenziale di 1,2 milioni di bg. La situazione resta precaria nel Paese, ma di recente sono rientrati in attività in rapida sequenza diversi giacimenti, tra cui Sharara ed El Feel (quest’ultimo operato dall’Eni), che insieme hanno una capacità di 360mila bg. Un’altro campo più piccolo, che era fermo da marzo 2015 – Al Bayda, da 13mila bg, nella Libia orientale – è stato riavviato ieri.

Non basta. Anche la Nigeria – altro membro Opec sollevato dai tetti produttivi – potrebbe presto aggiungere altri 200mila bg al mercato: le riparazioni all’oleodotto Forcados, chiuso quasi ininterrottamente da febbraio 2016, sarebbero state ultimate.

Di fronte a una tale sequenza di notizie – e con il dollaro forte – le quotazioni del greggio sono tornate a indebolirsi, perdendo oltre l’1%. Brent e Wti hanno chiuso rispettivamente a 48,73 e 45,88 dollari al barile.

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