Per smaltire l’eccesso di petrolio sul mercato «c’è ancora molto lavoro da fare» e l’Opec dovrà rassegnarsi a tempi lunghi e forse anche a sacrifici maggiori rispetto a quelli compiuti finora. È questo il messaggio dell’Agenzia internazionale per l’energia (Aie), a pochi giorni dal vertice in cui l’Organizzazione degli esportatori di greggio dovrà decidere con i suoi alleati sulla proroga dei tagli di produzione.
Arabia Saudita e Russia lunedì hanno gettato il cuore oltre l’ostacolo, annunciando di voler proseguire l’intervento fino a marzo 2018: una scelta che l’Aie sembra condividere.
Riad e Mosca tra l’altro puntano non solo a guadagnare il consenso unanime dei Paesi che stanno già partecipando ai tagli, ma anche ad allargare la coalizione, coinvolgendo altri produttori non Opec: ci sono colloqui in corso per 3-5 “new entry”, ha assicurato il ministro russo Alexander Novak. Ieri il piano ha guadagnato il sostegno del Kuwait e dell’Iraq (anche se Baghdad ha glissato sulla durata della proroga), mentre tra gli alleati esterni al gruppo, oltre alla Russia, si è già schierato a favore l’Oman (il Kazakhstan, d’altra parte, ha chiesto di rinegoziare le condizioni della sua partecipazione).
Estendere i tagli produttivi è una necessità, concorda l’Aie nel suo rapporto mensile, poiché anche mantenendo le attuali condizioni di mercato «le scorte alla fine del 2017 potrebbero non essersi ridotte alla media degli ultimi cinque anni».
Questo non significa che i tagli dell’Opec, applicati con scrupolosa disciplina, siano stati inefficaci: «Il ribilanciamento (tra domanda e offerta di petrolio, Ndr) sostanzialmente è qui e almeno nel breve termine sta accelerando», afferma l’agenzia dell’Ocse. Nel primo trimestre le scorte globali sono aumentate solo di 100mila barili al giorno, meno di un decimo rispetto allo stesso periodo del 2016, mentre per il trimestre in corso l’Aie stima una riduzione al ritmo di 700mila bg, che potrebbe salire addirittura a 1,5 milioni di bg nella seconda metà dell’anno, a patto che l’Opec continui a contenere la produzione sui livelli attuali (31,8 mbg) e a patto che «nient’altro cambi nel settore».
Il problema più grande è proprio la seconda condizione, di fronte alla quale Arabia Saudita e Russia – pur controllando un quinto dellle forniture mondiali di petrolio – rischiano di avere le armi spuntate: «È ovvio che altre voci del bilancio cambieranno», afferma la stessa Aie.
Prima di tutto c’è «la diversità e il dinamismo» dello shale oil americano, che costringe continuamente a rivedere le stime sull’offerta non Opec: questa (per ora) è attesa in crescita di 600mila bg nel 2017 a 58,3 mbgma solo un mese fa l’incremento previsto era di 490mila bg, mentre per la produzione Usa la stima è salita da +690mila a +790mila bg .
«Bisogna anche tenere d’occhio Libia e Nigeria», aggiunge l’agenzia parigina, poiché la produzione dei due Paesi Opec esentati dai tagli sembra che stia aumentando «in modo stabile».
Infine ci sono i consumi petroliferi, che minacciano di raffreddarsi. L’Aie per ora ha lasciato immutate le previsioni di crescita della domanda per l’intero 2017 (+1,3 mbg a 97,9 mbg), ma nei primi mesi dell’anno ha osservato segnali di debolezza «in una serie di Paesi in cui in precedenza la domanda era solida», ossia l’India, gli Stati Uniti, la Germania e la Turchia.
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