Era il 23 maggio 2002: l’euro si ritrovava da pochi mesi nei nostri portafogli quando al di là dell'Atlantico iniziarono a essere scambiate al Nasdaq le azioni di una semisconosciuta società di e-commerce, nata cinque anni prima e già inciampata nel crash della bolla internet del 2000. Netflix allora noleggiava Dvd e videogiochi a 600mila abbonati, spedendoli loro per posta. Qualcosa di simile a BlockBuster, ma più in piccolo. Un’azione valeva poco più di un dollaro, la capitalizzazione della società era di 300 milioni di dollari. Oggi è un colosso che vale 68.000 milioni di dollari e distribuisce contenuti video ogni settimana in tutto il mondo a circa 100 milioni di abbonati. Le azioni nelle scorse settimane hanno toccato quota 160 dollari, con una performance del 13.000% dal momento della quotazione (aggiustata considerando due operazioni di split azionario).
Il cambio di pelle. Il vero anno della svolta per la società californiana fondata da Reed Hastings e Marc Randolph è il 2007, lo stesso in cui viene lanciato l’iPhone: Netflix affianca il noleggio di Dvd a un nuovo servizio di streaming online di contenuti on-demand, destinato a diventare la chiave del suo successo. Negli stessi anni il colosso BlockBuster, che nel 2000 aveva messo sul piatto un assegno da 50 milioni di dollari per acquisire Netflix (offerta rifiutata), non cavalca con sufficiente determinazione il mercato dello streaming finendo per affondare dichiarando bancarotta nel 2010.
Investire nei contenuti. Ma l’affermazione definitiva di Netflix arriva grazie a un’altra intuizione: quella di distribuire contenuti di grande qualità prodotti appositamente per la piattaforma californiana. A partire dal famoso “House of Cards” con Kevin Spacey, che ha debuttato nel febbraio 2013 ed è ora approdato alla quinta stagione: per lanciarla è stato assoldato addirittura Pete Souza, l’ex fotografo di Obama. Senza ovviamente dimenticare le co-produzioni con DreamWorks o Marvel Television e le celebri “Orange is the New Black” e “Stranger Things”. Fino all’anno scorso si stima che Netflix abbia distribuito 126 film o serie originali, più degli altri network o canali via cavo.
Gli errori. Probabilmente il peggior incidente di percorso della società guidata dal matematico e informatico Reed Hastings risale al luglio 2011, quando si decise di separare negli Stati Uniti i due rami di business (Dvd e streaming) conferendo i noleggi per posta a una nuova società, Qwikster. Il problema è che in questo modo gli abbonati, che pagavano un’unica quota di 9,99 dollari al mese, si ritrovarono improvvisamente a dover sborsare quasi 16 dollari per i due servizi da quel momento divisi. Gli abbonamenti ingranarono momentaneamente la retromarcia, assieme alle azioni della società.
Il futuro. Di recente la crescita degli abbonamenti ha rallentato, probabilmente un fenomeno fisiologico dopo il boom del 2016. Ma la politica aggressiva di prezzi, unita alle crescenti spese per le produzioni originali, sta assottigliando i margini. Il tutto mentre la concorrenza si fa agguerrita, con Google che attraverso YouTube ha lanciato la sua pay tv in streaming e Amazon che sta crescendo con la sua Prime Video (sbarcata anche in Italia nel dicembre scorso). Ma nonostante il rapporto prezzo-utili di Netflix svetti oltre quota 200, pari a nove volte quello dell’indice S&P500, dei 42 analisti interpellati da FactSet che seguono il titolo solo tre pensano sia ora di vendere. La crescita in Borsa potrebbe continuare.
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