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Ecco perché il petrolio è sceso di prezzo dopo l’Opec (e…

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Ecco perché il petrolio è sceso di prezzo dopo l’Opec (e perché risalirà)

(Reuters)
(Reuters)

Il mercato non ha digerito bene l’accordo Opec-non Opec per proseguire i tagli della produzione di petrolio: dopo il crollo del 5% di giovedì, le quotazioni del barile hanno faticato a riprendersi . Brent e Wti, dopo un rimbalzo di circa l’1%, sono comunque ritornati intorno a 52 e 50 dollari rispettivamente.

La delusione degli investitori non implica tuttavia che il vertice sia stato un fallimento. In fin dei conti la coalizione dei produttori – ormai guidata con pugno di ferro da Arabia Saudita e Russia – potrebbe aver commesso solo un errore di forma e non di sostanza, ossia quello di comunicare troppo presto e in modo sbagliato i suoi piani.

La maggior parte degli analisti è d’altra parte convinta che le decisioni prese dall’Opec e dai suoi alleati vadano nella direzione desiderata: lo smaltimento delle scorte di greggio verrà davvero accelerato, tanto da normalizzarle «entro fine anno o al massimo a inizio 2018», proprio come prevede il ministro saudita Khalid Al Falih.

L’obiettivo, secondo Goldman Sachs, sarà raggiunto «anche se la disciplina nei tagli dovesse gradualmente diminuire». E l’Opec potrebbe anche togliere munizioni allo shale oil, suggerisce la banca, se riuscirà a «creare una minaccia credibile che il mercato del petrolio possa tornare in surplus»: evitando (come effettivamente ha fatto) di indicare un’exit strategy, può mantenere i prezzi a futuri più bassi di quelli a pronti, una condizione nota come backwardation, che non solo incoraggia il rilascio di scorte, ma dovrebbe limitare l’accesso a finanziamenti da parte dei fracker americani.

La proroga di nove mesi in particolare è «cruciale», sottolinea Giovanni Staunovo, convinto che presto il barile risalirà verso 60 dollari, perché il «monumentale accordo» Opec-non Opec, con la domanda di greggio che aumenta sensibilmente nella stagione estiva, «manterrà il mercato in deficit aiutando ad accelerare il declino delle scorte nel secondo semestre».

In realtà la proroga di nove mesi dei tagli produttivi è stata una sorpresa positiva: l’intesa originaria prevedeva l’opzione per un rinnovo di soli sei mesi. Ma «è stata venduta troppo presto al mercato», come fa notare Amrita Sen di Energy Aspects: Arabia Saudita e Russia non hanno aspettato il vertice, venendo allo scoperto quasi dieci giorni prima. La reazione c’è stata, perché in poche sedute le quotazioni del petrolio sono salite di quasi il 10%, ma gli investitori hanno cominciato ad aspettarsi ancora di più e quando non hanno ottenuto altro hanno liquidato una parte delle posizioni rialziste.

Forse Riad e Mosca hanno voluto imporre una piattaforma alle discussioni con gli altri produttori, la cui coesione comincia a indebolirsi. E sono riuscite a portare a casa solo il risultato minimo che si ripromettevano. Ma questo non è poi così poco. Anche perché contemporanemente è stato aggiustato il tiro anche su un altro punto della strategia: quello delle esportazioni.

Non è detto che gli altri seguano a ruota, ma i sauditi hanno finalmente capito devono diminuire l’export di greggio, in particolare quello verso gli Stati Uniti se vogliono svuotare gli stoccaggi più visibili al mercato e quindi gli unici davvero in grado di influenzare i prezzi.

«In giugno ai clienti sono state concesse forniture inferiori a quelle che avevano chiesto», ha dichiarato Al Falih da Vienna, spendendo qualche parola in più proprio sui clienti americani. «Gli Usa sono un mercato chiave per Saudi Aramco e quindi non possiamo lasciarlo del tutto, ma vedrete che le esportazioni saudite diminuiranno in modo netto». Non dovrebbe essere difficile per Riad perché, come ha ricordato lo stesso Al Falih, «i consumi domestici dell’Arabia Saudita crescono d’estate, lasciando meno greggio da esportare».

I numeri cominciano già a dimostrare che sta facendo sul serio: l’export saudita aveva già rallentato ad aprile e dai programmi di carico, riferisce la Reuters, risulta che in maggio dovrebbe calare a 6,5 milioni di barili al giorno, il minimo da un anno. Le forniture per gli Usa, che finora sono state in media di 1,2 mbg secondo Bloomberg, dovrebbero scendere sotto 1 mbg.

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