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Borse, la volatilità è davvero morta o è una trappola?

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scenari di mercato

Borse, la volatilità è davvero morta o è una trappola?

Ma dov’è finita la volatilità? Il Vix, il famoso “indice della paura” che misura la volatilità implicita (quindi futura) delle opzioni sullo S&P500, sembra non fare più paura nemmeno a un bambino. Negli ultimi vent’anni il Volatility Index ha chiuso sotto quota 10 punti soltanto undici giorni, e sette di questi undici giorni si sono verificati il mese scorso. Tradotto in italiano, significa che i mercati sono assolutamente tranquilli. Rilassati. Assopiti. Sereni e senza nubi all’orizzonte.

Un Vix sotto quota 10 non si vedeva dal lontano 15 dicembre 2006 (quando aveva toccato 9,39), mentre il minimo storico si era verificato il 27 dicembre 1993 (a 8,89). Come è possibile che la volatilità sia morta proprio quando i mercati sono ostaggio del mistero Brexit, delle incognite sulla politica monetaria delle banche centrali, del Russiagate di Trump, delle tensioni in Medio Oriente, del terrorismo? Come ai tempi della bolla hi-tech, qualcuno sta già parlando di “nuova normalità”. Ha ragione?

No, non illudiamoci di essere in una “nuova normalità” di eterna bonaccia dai venti della volatilità spiega Marko Kolanovic, capo delle strategie quantitative di Jp Morgan. Secondo il famoso analista croato è però vero che i mercati stanno cambiando faccia. E questo per tre ragioni principali.

Primo: a operare in Borsa oggi sono soprattutto robot, ovviamente programmati da umani. Ossia strategie di investimento automatizzate o passive (che replicano indici), le quali assieme pesano secondo Kolanovic per circa il 60% degli scambi azionari, più del doppio rispetto a dieci anni fa. Solo dietro al 10% degli scambi c’è un operatore “discrezionale”, cioè che non utilizza sistemi di trading automatizzato e si spacca la schiena sull’analisi fondamentale delle singole società cara per esempio a Buffett. I sistemi automatizzati non si preoccupano troppo di terrorismo o Russiagate fino a quando questi eventi non hanno una ricaduta concreta sui mercati. E gli investitori passivi, quelli per esempio che acquistano Etf, non si mettono in posizione “corta”, ossia non vendono azioni. Così in Borsa regna la calma piatta.

La seconda ragione del crollo di volatilità va cercata nell’azione delle banche centrali, che con le loro iniezioni di colossali masse di denaro sui mercati favoriscono il beato torpore delle Borse o - per dirla con le parole del guru quant di Jp Morgan - la “vendita di volatilità”. Ci sono speculatori, anche privati, che hanno guadagnato bene “vendendo” il future sul Vix: negli Stati Uniti un tizio, tal Jason Miller, ha fatto notizia portando a casa 53mila dollari in poche settimane con questo giochetto. Finché dura.

La terza ragione del declino della volatilità è che le correlazioni macro non sono più quelle di una volta. Se come avviene negli Stati Uniti i tassi aumentano ma le Borse, anziché prendere una pausa di riflessione, continuano inarrestabili a macinare nuovi record (citofonare Wall Street) evidentemente le correlazioni sono ridotte. Secondo Kolanovic fenomeni di questo tipo contribuiscono a una temporanea riduzione della volatilità compresa tra i due e i quattro punti percentuali.

Tutto tranquillo per sempre, quindi? Fino a un certo punto. Gli attuali livelli di volatilità non rappresentano una “nuova normalità”, avverte lo strategist di Jp Morgan, «e non dureranno a lungo considerato l’aumento dei tassi, le dimensioni della leva finanziaria e l’avvicinarsi del momento in cui le banche centrali dovranno ridurre i loro bilanci», sottraendo liquidità al mercato.

Attenzione perché quando la volatilità tornerà ad aumentare saranno in molti a farsi male. L’ipotesi puramente teorica presa in considerazione da Kolanovic è che l’indice Vix possa salire all’improvviso da 10 a 20 punti, non lontano dalla sua media storica. Quindi niente di catastrofico come nel dopo Lehman, quando il Vix superò quota 80 punti (era il 20 novembre 2008) rompendo le ossa a chi aveva messo in piedi strategie mean reverting nell’errata convinzione che la volatilità sarebbe presto rientrata nei ranghi “come era sempre accaduto”.

Secondo l’analista croato oggi, in un torpore borsistico generalizzato sul quale speculano in parecchi, un semplice raddoppio della volatilità potrebbe provocare un collasso della liquidità sui mercati, visto che sulla discesa del Vix sono state costruite numerose strategie di investimento complesse che andrebbero velocemente coperte. Quello che si rischia è il classico effetto panico, le centinaia di persone che cercano di uscire dal cinema in fiamme da una porticina piccola piccola. E allora sì che l’indice della paura tornerebbe a fare paura.

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