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INVESTIMENTI

Il boom degli «smart beta», l’effetto gregge tra i robot e i nostri soldi

A metà strada tra investimenti attivi e passivi, i fondi ed Etf “smart beta” sono ormai le star emergenti del mercato. In un anno i flussi netti di denaro su questo tipo di strumenti sono cresciuti del 2000%, balzando a 24 miliardi di dollari nel primo trimestre di quest’anno. La febbre per investimenti sofisticati ma al tempo stesso “low cost” ha portato i colossi dell’asset management a premere l’acceleratore su questo tipo di prodotti. Il risultato: quasi metà della nuova liquidità affluita nel risparmio gestito è finita nella grande famiglia degli “smart beta”, che ormai pesano per un settimo dei quattro trilioni di dollari investiti in Etf.

Che cosa sono. Prima però facciamo un passo indietro per spiegare come funzionano questi strumenti. Fondi ed Etf smart beta hanno strategie di investimento “intelligenti”, che vengono costruite replicando indici basati su ponderazioni diverse dalla semplice capitalizzazione di mercato. Non si cerca quindi di replicare o di battere indici come lo S&P500, l’EuroStoxx o il Ftse-Mib ma di investire su diversi “temi”, come le azioni con alti dividendi, quelle a bassa volatilità, o le “small cap” a bassa capitalizzazione. Oppure i titoli “value”, quelli con buoni fondamentali amati per esempio da Buffett, o ancora i “growth”, con elevate aspettative di crescita di prezzo e utili (come quelli hi-tech o biotech). I lanci di nuovi prodotti si moltiplicano, mentre aumenta la loro complessità: come spiegava un report di Morningstar di qualche mese fa, «crescono i fondi multi-fattoriali, che combinano l’esposizione a diverse strategie».

Chi è preoccupato e perché. Ma gli “smart beta” crescono così in fretta da far allarmare alcuni esperti. Uno è Scott Bauguess, capoeconomista alla Sec (la Consob statunitense) della divisione che si occupa dell’analisi del rischio. A un recente speech intitolato “Market Fragility and Interconnectedness in the Asset Management Industry”, l’economista ha sputato il rospo sottolinenando che gli “smart beta” «non fanno dormire la notte i regolatori finanziari».

Un effetto gregge “robotizzato”. Il dilagare degli “smart beta” e delle loro strategie di investimento automatizzate rischia di aumentare la fragilità del mercato, spiega il capoeconomista Sec. «Se infatti le decisioni di investimento sono legate ai cambiamenti delle condizioni di mercato, e le riallocazioni di portafoglio che ne derivano a loro volta hanno ricadute sui mercati, ecco allora che il rischio è quello di un loop di comportamenti che si autoavverano senza l’intervento del giudizio umano», continua Bauguess.

Il crash del 1987. Pessimismo esagerato? Forse, ma proviamo a tornare indietro nel tempo di trent’anni al temibile lunedì nero del 1987, in cui Wall Street perse il 22% in un giorno (e altre piazze finanziarie fecero molto peggio). Si tratta di un esempio estremo di come questo tipo di comportamenti può manifestarsi con conseguenze deleterie, continua il capoeconomista Sec. «In particolare, l’analisi retrospettiva mostra come i programmi di trading automatizzato - creati per limitare le perdite in un mercato che crolla - possano esacerbare la pressione sulle vendite e allontanare gli investitori istituzionali dagli acquisti». Tutto questo, sottolinea Bauguess, senza che intervenga alcuna forma di giudizio umano.

Due domande da miliardi di dollari. Gli “smart beta” potrebbero portarci a un nuovo lunedì nero? Secondo il capoeconomista Sec dipende dalla risposta a due domande. La prima: i vari sottostanti di questi strumenti sono a loro volta a rischio di genererare feedback di investimento negativi? Bauguess fa l’esempio di “smart beta” che durante stress di mercato sostituiscono i titoli ad alta volatilità con quelli a bassa volatilità, rendendo più instabili le Borse. La seconda domanda chiave è: questi feedback negativi sarebbero in grado di impattare pesantemente sui mercati? Per ora gli “smart beta” hanno un peso tutto sommato limitato, conclude Bauguess, ma la loro continua crescita potrebbe in futuro aumentare seriamente la fragilità delle Borse.

La trappola della bassa volatilità. Facciamo un esempio concreto di come le strategie automatizzate degli “smart beta” possono contribuire alla fragilità di mercato. C’è un popolare Etf che investe sulle azioni a bassa volatilità dell’indice S&P500, ma visto che di recente la volatilità è stata ai minimi oggi quel “clone” si ritrova con il maggior peso di titoli tech dalla sua nascita nel 2011. Che cosa accadrebbe con un ritorno della volatilità? Che quell’Etf, in modo del tutto automatico, si precipiterebbe a vendere quei titoli, facendo magari scattare altri “grilletti” di software finanziari. E l’effetto gregge, tra i robot, potrebbe diventare realtà.

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