Per il petrolio è stata la miglior settimana dell’anno: il prezzo del barile ha guadagnato oltre il 9% sia nel caso del Brent – tornato sopra 52 dollari – che in quello del Wti, di nuovo vicino a 50 dollari per la prima volta da oltre due mesi.
Ma non è tutto. Con i forti rialzi il riferimento europeo è anche tornato in backwardation, ossia nella situazione in cui il prezzo a pronti è più alto di quello a futuri. Non si tratta solo di pochi centesimi: il premio della prima posizione dei future rispetto alla successiva ha raggiunto 38 cents, il massimo da aprile 2016, e la backwardation è comparsa anche su altri punti della curva.
L’evento è di grande rilevanza per il mercato, perché – a meno che il fenomeno non si riveli passeggero – contribuirà ad accelerare ulteriormente il calo delle scorte petrolifere, che in alcune aree del mondo sta già avvenendo a ritmo sostenuto. Negli Stati Uniti in particolare, il Paese che offre i dati più puntuali e visibili (e che quindi ha il maggior peso nell’orientare il mercato) le scorte commerciali di greggio sono già scese di oltre il 10% dal picco di marzo e a 483 milioni di barili sono ai minimi da dicembre. Se si includono nel conto anche le riserve strategiche, il livello è il più basso da gennaio 2016.
Anche in Europa le scorte stanno calando, grazie a margini di raffinazione doppi rispetto all’anno scorso e buone esportazioni di prodotti. Gli stock di greggio nell’hub Amsterdam-Rotterdam-Anversa (Ara) nelle due settimane al 21 luglio sono scese di oltre 8 mb secondo Genscape, il ritmo più veloce da 4 anni. Facts Global Energy stima che tra Stati Uniti, Ara, Singapore e Giappone le scorte dei maggiori prodotti petroliferi siano già quasi tornate ai livelli di due anni fa.
Ad alimentare il rally del petrolio contribuisce anche lo stato di forza maggiore sul nigeriano Bonny Light, prorogato ieri da Shell, e i continui segnali di rallentamento dello shale oil americano: questa settimana il numero di trivelle per la ricerca di greggio è aumentato (+2), ma Baker Hughes fa notare che l’incremento in luglio è stato di appena 10 unità, il minore da maggio 2016.
Uno scenario finalmente quasi perfetto per l’Opec e i suoi alleati, che tuttavia – secondo indiscrezioni circolate ieri sera – si appresterebbero a convocare d’urgenza il Comitato di monitoraggio sui tagli: fonti Reuters sostengono che la riunione potrebbe essere la prossima settimana ad Abu Dhabi, con Russia, Arabia Saudita, Kuwait e i due Paesi finora più “indisciplinati” nelle politiche produttive: Iraq e Kazakhstan.
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