Lo chiamavano Dio, ma il mercato del petrolio è diventato così complicato da riuscire a sopraffarlo. Andy Hall – uno dei più celebri trader del mondo, tanto abile da sembrare sovrumano – si è arreso: il principale hedge fund della sua società, la Astenbeck Capital Management, chiuderà dopo aver perso quasi il 30% nel primo semestre e aver subito un’ondata di riscatti, anche da parte di nomi eccellenti (compreso, si dice, Blackstone).
La capitolazione di Hall è solo la più recente ed eclatante di una lunga serie di sconfitte subite da grandi nomi della finanza, traditi dalle materie prime e in particolare dal petrolio, che con l’avvento dello shale oil ha smesso di comportarsi secondo le dinamiche di un tempo: una trasformazione radicale che ha preso in contropiede anche l’Opec, spingendola – in una sorta di paradossale cortocircuito – a cercare lumi proprio consultando gli hedge funds.
Anche alla vigilia dell’ultima riunione del Comitato di monitoraggio sui tagli, che si è tenuta il 24 luglio a San Pietroburgo, ci sarebbero stati colloqui dietro le quinte, condotti in prima persona dal saudita Khalid Al Falih: prima di volare in Russia il ministro, secondo fonti Bloomberg, avrebbe incontrato a Londra Pierre Andurand dell’Andurand Capital Fund, Jonathan Goldberg, ex trader di Goldman Sachs e fondatore del Bbl Commodities Value Fund, e Alex Beard, responsabile della divisione petrolio di Glencore. Insieme a loro ci sarebbe stato anche Michael Klein, investment banker ex Citigroup, arruolato da Riad come consulente per l’Ipo di Saudi Aramco.
Al Falih secondo indiscrezioni di stampa si era visto con Andurand (e con rappresentanti di Vitol e Lukoil) anche alla vigilia del vertice Opec di novembre 2016, quando venne approvato il taglio della produzione di greggio. Ancora più attivo su questa linea – assolutamente inedita fino all’anno scorso – è stato il segretario generale dell’Opec, Mohammed Barkindo, che con l’aiuto di Ed Morse, head of commodities research di Citigroup, ha organizzato addirittura un centinaio di incontri.
Nei recenti colloqui londinesi Al Falih avrebbe cercato consiglio su come rendere più efficace l’azione dell’Opec e dei suoi alleati, ricevendo il suggerimento di concentrarsi anche sulla riduzione dell’export di greggio. Si sarebbe anche parlato dell’opportunità o meno di agire su tutta la curva dei future sul greggio, cercando di influenzare anche le quotazioni lontane nel tempo, come Goldman Sachs e altri sostengono che Riad dovrebbe fare (si veda il Sole 24 Ore del 30 maggio).
La stessa Goldman sembra comunque aver perso la bussola di fronte ai mercati petroliferi: il trading di materie prime, che un tempo le regalava profitti miliardari, nel secondo trimestre ha avuto la peggiore performance nella storia. Di recente gli analisti della banca hanno fatto ammenda per aver completamente sbagliato le previsioni su rame e petrolio.
Molte altre grandi banche – da Morgan Stanleya JpMorgan e Barclays – hanno ridimensionato le attività nelle commodities, non solo perché sono finite nel mirino dei regolatori, ma anche perché si stanno rivelando sempre meno redditizie: nel primo trimestre hanno reso appena 800 milioni di dollari ai big del credito, stima Coalition, il 29% in meno rispetto al 2016 e un terzo rispetto al 2012. Con tutta probabilità un minimo storico.
Alcuni hedge funds specializzati non hanno avuto vie di fuga: negli ultimi 4 anni almeno dieci società hanno chiuso i battenti, tra cui nomi celebri come Clive Capital. Colpa della volatilità che si è ridotta, ma forse anche di strategie non più al passo coi tempi.
Andy Hall era famoso per le sue scommesse molto aggressive sul petrolio, di lungo termine e super-rialziste, che lo avevano reso miliardario. La sua carriera era iniziata negli anni ’70 in Bp, poi era passato a Phibro e a Citigroup. Infine si era messo in proprio, con la Astenbeck Capital Management, sede nel Connecticut e 1,8 miliardi di dollari in gestione secondo le ultime informazioni (ma nel 2013 erano più del doppio).
Fino a un mese fa Hall aveva continuato a difendere con ostinazione la fede rialzista, sostentendo che il prezzo del petrolio sarebbe tornato a correre grazie ai tagli Opec. A luglio l’ammissione, in una lettera agli investitori, che il mercato era «notevolmente peggiorato» e che forse il barile sarebbe rimasto a 50 dollari. Ieri l’ultimo atto: la chiusura del fondo bandiera, l’Astenbeck Master Commodities Fund II.
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