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Dossier Se l’inflazione non risponde all’appello della Bce

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Dossier | N. 22 articoliWorkshop The European House 2017

Se l’inflazione non risponde all’appello della Bce

Alzare l’inflazione della zona euro potrebbe essere più complicato di quanto si potesse immaginare in presenza di una forte rivalutazione della moneta unica. Questo è stato uno dei temi principali discussi nella prima giornata del Forum Ambrosetti a Cernobbio da economisti, banchieri, imprenditori e politici.

Con l’inflazione che è rimasta da più di quattro anni e mezzo sotto l’obiettivo della Bce, posto «al di sotto ma vicino» al 2 per cento, un ulteriore ritardo nel raggiungere il tetto prefissato potrebbe alimentare argomenti a favore di un prolungamento dello stimolo della Bce, anche se l’economia dell’eurozona sta godendo il suo miglior momento da quando è iniziata la crisi finanziaria globale.

«Il miglioramento è evidente, persistono però incertezze crescenti sulla forza della ripresa dell’economia globale e negli Usa in particolare, cosa che rende la normalizzazione dell’inflazione e dei livelli di occupazione nella zona euro più difficile», ha indicato il numero due della Bce, Vitor Constancio, intervenuto al Forum a pochi giorni della riunione mensile della Bce che potrebbe decidere sulla tempistica di uscita dall’allentamento quantitativo.

La ripresa ciclica nella zona euro è adesso più ampia e più solida, ciononostante «la normalizzazione dell’inflazione e della disoccupazione a livelli accettabili continua a essere difficile», ha detto Constancio. Poi ha proseguito: «La valutazione positiva del ciclo economico europeo deriva dal fatto che l’economia nella zona euro si espande per 17 trimestri consecutivi mentre la fiducia del business ha raggiunto il livello massimo del decennio. Inoltre, tutti i paesi “partecipano” alla ripresa e ci sono più occupati rispetto al periodo precedente la crisi (che si scatenò negli Usa dieci anni fa)». Tutto bene, dunque? Non proprio. Dall’altro lato restano – secondo Costancio - dei problemi di fondo: «Non possiamo essere compiacenti verso noi stessi perché restano sfide enormi a partire dal basso andamento della crescita e del livello tuttora alto di debito in un certo numero di paesi».

Anche un banchiere d’affari con un passato di incarichi istituzionali ha invitato in particolare a guardare «gli effetti dell’euro forte non sull’export ma sulla ripartenza dell’inflazione che verrà rallentata con conseguenze sulla politica monetaria della Bce che dovrà restare ancora accomodante».

«C’è un forte disallineamento tra il valore di alcune azioni di borsa e il loro valore reale. C’è molta liquidità a caccia di alti rendimenti in un mondo dove il 40% delle obbligazioni sono con rendimenti negativi», dice Angel Gurria, segretario dell’Ocse a margine del Forum. «Il rischio è l’esplosione di una bolla dei prezzi di alcune azioni troppo gonfiati dall’eccesso di liquidità. «Oggi il mondo cresce del 3,5% ma prima della crisi cresceva al 4 per cento. Il ritmo di crescita della media dei paesi Ocse è solo del 2% per i prossimi anni, un tasso troppo lento. Certo l’Italia era in recessione e ora riparte ma non basta», ha concluso Gurria.

Una voce fuori dal coro? Non proprio. Enrico Giovannini, economista all’Università di Roma Tor Vergata ha rincarato la dose e ha parlato di «rischio bolle, di crescenti insoddisfazioni sociali e di un crescita troppo bassa».

«Non sono né ottimista né pessimista. Sono realista. La ripresa dipende dalla politica fiscale perché quella monetaria ha già fatto tutto il possibile», ha fatto eco Jacob Frenkel presidente di JPMorgan Chase international.

«La politica monetaria fiscale è un modo di sostenere e aiutare però non può fare tutto, l’importante è continuare sulla strada delle riforme che rendono un paese o una zona come l’Europa competitiva sul punto di vista internazionale» ha concluso il ceo di Generali Philippe Donnet.

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