I tassi di interesse sulle operazioni di rifinanziamento principali, sulle operazioni di rifinanziamento marginale e sui depositi presso la banca centrale rimarranno invariati rispettivamente allo 0,00%, allo 0,25% e al -0,40%. Lo ha deciso oggi il Consiglio direttivo della Bce al termine della riunione di politica monetaria a Francoforte. Confermata anche la forward guidance che prevede che i tassi di interesse «si mantengano su livelli pari a quelli attuali per un prolungato periodo di tempo e ben oltre l'orizzonte degli acquisti netti di attività».
Per quanto riguarda il Qe, confermata la timeline annunciata a ottobre che prevede la riduzione degli acquisti mensili di attivi da 60 a 30 miliardi di euro al mese a partire da gennaio a fronte del prolungamento del programma «sino alla fine di settembre 2018 o anche oltre se necessario, e in ogni caso finché il Consiglio direttivo non riscontrerà un aggiustamento durevole dell'evoluzione dei prezzi, coerente con il proprio obiettivo di inflazione». Ribadito anche l’impegno, se le condizioni peggiorano, ad aumentare entità o durata del Qe qualora questo si dovesse rendere necessario per raggiungere l'obiettivo di un ritorno dell'inflazione verso l'obiettivo di lungo termine e al fine di garantire la stabilità dei prezzi.
«La vasta maggioranza dei governatori è d'accordo nel mantenere le caratteristiche open-ended del programma di acquisti di bond», ha detto in conferenza stampa il presidente della Bce, Mario Draghi.
L'Eurosistema reinvestirà inoltre il capitale rimborsato sui titoli in scadenza nel quadro del PAA per un prolungato periodo di tempo dopo la conclusione degli acquisti netti di attività e in ogni caso finché sarà necessario. Ciò contribuirà sia a condizioni di liquidità favorevoli sia a un orientamento di politica monetaria adeguato.
Draghi: stimolo monetario ancora necessario. Alzate le stime di crescita
«Un notevole stimolo monetario è ancora necessario per sostenere l'inflazione nel medio termine», ha detto il presidente della Bce Mario Draghi in conferenza stampa a Francoforte, illustrando le decisioni del board. La Banca centrale ha alzato le stime di crescita per l'Eurozona a 2,4% per il 2017, 2,3% per il 2018 e 1,9% per il 2019 perché «l'espansione dell'economia continua a essere solida e generalizzata nell'area dell'euro». I dati più recenti «e i risultati delle ultime indagini congiunturali - ha detto Draghi - indicano il protrarsi della dinamica espansiva nella seconda metà dell'anno. Le nostre misure di politica monetaria hanno agevolato il processo di riduzione della leva finanziaria e seguitano a sostenere la domanda interna. I consumi privati sono sospinti dall'incremento dell'occupazione, che a sua volta beneficia delle passate riforme del mercato del lavoro, e dall'aumento della ricchezza delle famiglie. L’espansione degli investimenti delle imprese continua a essere sostenuta da condizioni di finanziamento molto favorevoli e da miglioramenti della redditività delle imprese. Si sono rafforzati anche gli investimenti nel settore delle costruzioni. In aggiunta, la ripresa generalizzata a livello globale stimola le esportazioni dell'area dell'euro».
«Più fiduciosi di due mesi fa» su convergenza inflazione verso target
Come già nella riunione precedente, Draghi ha spiegato che le pressioni sui prezzi rimangono al momento muted e che il trend inflazionistico farà registrare un lieve ribasso prima di tornare al rialzo a causa soprattutto dell'effetto base delle componenti volatili, cioè energia e cibo. L'inflazione dovrebbe comunque beneficiare nel lungo periodo da quella che appare come una crescita sempre più sostenuta e diffusa.
«Siamo più fiduciosi di due mesi fa sul fatto che raggiungeremo i target», ha dichiarato Draghi in conferenza stampa. «È chiaro che il rafforzamento dell'economia - ha detto - è la base su cui si chiuderà l’outpt gap e si otterrà un ulteriore miglioramento del mercato del lavoro. E alla fine gli stipendi nominali rifletteranno il miglioramento del mercato occupazionale». Anche se la parola d’ordine resta prudenza perché «rispetto alla altre riprese economiche del passato, la risposta degli stipendi al miglioramento dell'economia è molto, molto più lenta».
Il gap con gli Usa non fa paura
«La differenza nelle decisioni di politica monetaria e dunque nelle decisioni su tassi di interesse prese sull'altra sponda dell'Atlantico riflettono posizioni diverse nella ripresa economica», ha commentato Draghi. «Sebbene il ritmo di crescita sia ora più forte in Europa che negli Usa - ha detto - negli Usa lo stadio della ripresa economica è più avanzato e questo si riflette soprattutto a livello di occupazione e salari. Quindi le diverse politiche monetarie riflettono le differenze nelle due giurisdizioni. Posso dire che non abbiamo riscontrato alcun impatto negativo sull’economia dell'eurozona scaturita da questa divergenza di politica monetaria». (testo a cura di Alberto Annicchiarico)
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