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L’impatto dell’euro forte su Borse, bond, famiglie e imprese

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L’impatto dell’euro forte su Borse, bond, famiglie e imprese

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Siamo entrati nella fase del mini-dollaro (il biglietto verde ha perso oltre il 15% nei confronti dell’euro e circa il 10% sulle altre principali valute globali dall’avvio del mandato di Donald Trump). Letta al contrario è anche la fase del super-euro (ha toccato il picco da tre anni a quota 1,25). Una fase che, stando a quanto dichiarato pubblicamente (forse con eccessiva sfacciataggine) dal Segretario al Tesoro degli Usa, Steven Mnuchin, fa comodo agli Stati Uniti. Certo, perché vedere la propria divisa svalutarsi nei confronti dei principali partner (ma allo stesso tempo competitor) globali mentre la propria banca centrale sta portando avanti un percorso di rialzo dei tassi, può costituire un vantaggio non da poco per rilanciare le esportazioni (gli Usa hanno un deficit commerciale di 600 miliardi) e dare una forte spinta alla crescita economica di breve periodo.

Vale la pena ricordare che oggi secondo il principio della parità del potere d’acquisto, quindi al netto del differenziale di inflazione tra Usa ed Eurozona, il cambio euro/dollaro dovrebbe essere intorno a quota 1,16. Se invece si inseriscono altri fattori, come speculazione, semantica dei banchieri centrali e diverse aspettative degli investitori, ci può stare che sia a 1,25. E forse ancora più su.

Vediamo, più nel dettaglio, quali sono gli effetti anche in Europa su Borse, bond, famiglie e imprese dell’attuale svalutazione del dollaro, che può essere letta ovviamente anche dall’altro lato della medaglia: un rafforzamento dell’euro.

IL CALO DEL DOLLARO SULLE PRINCIPALI VALUTE
L'andamento del dollar index (Fonte: Ufficio Studi Il Sole 24 Ore)

Impatto del mini-dollaro sulle Borse....
Wall Street ha registrato nelle prime tre settimane del 2018 la bellezza di 15 record. È evidente che agli investitori piace il mix di notizie che sta arrivando dalla politica (più deficit Usa, tagli fiscali alle imprese che reimpatriano) e dal mercato valutario. Nel breve periodo infatti il dollaro debole rende le imprese che esportano più forti perché algebricamente i propri beni vengono venduti all’estero con uno sconto. Diverso il quadro per le Borse europee. Nell’ultima settimana, quella in cui l’euro è balzato sui massimi degli ultimi tre anni sul dollaro a quota 1,25, il DAX 30 (il listino tedesco, simbolo della forza dell’export con un surplus di 700 miliardi di l’anno) ha interrotto i rialzi perdendo l’1,5% in poche sedute. «È la violenza degli spostamenti del cambio registrata negli ultimi giorni a creare problemi alle aziende esportatrici - spiega Vincenzo Longo, strategist di Ig -. Perché in questo modo le aziende non hanno il tempo per coprirsi con dei derivati, né per cambiare i prezzi degli scaffali in modo tale da non perdere domanda».

Diverso il discorso per il FTSE MIB di Piazza Affari dove la preponderanza del settore creditizio nel calcolo dell’indice lo rende meno vulnerabile in casi di un eccessivo apprezzamento dell’euro.

“Secondo gli analisti i rendimenti dei Treasuries decennali potrebbero continuare a salire puntando alla soglia del 3%”

 

.... sui bond
Al calo del dollaro corrisponde in questa fase un rialzo dei rendimenti dei titoli di Stato statunitensi. Rialzo che per la verità fa parte di un movimento più ampio e generalizzato e che riguarda i bond globali. In ogni caso, i rendimenti del decennale hanno superato con forza l’importante soglia psicologica del 2,6%. E secondo gli analisti potrebbero continuare a salire magari puntando alla soglia del 3%. Il mini-dollaro c’entra anche qui perché la svalutazione del dollaro potrebbe avere effetti inflattivi con conseguente spinta rialzista dei tassi sui bond. Non va poi dimenticato che gli investitori europei in Treasury la perdita in questo momento è doppia, sia sul cambio che sul prezzo dei bond Usa.

Di converso il super-euro in prospettiva potrebbe esercitare una pressione deflazionistica nell’Eurozona, complicando la strategia della Bce di uscita dalla politica monetaria espansiva (a fine settembre dovrebbe terminare il quantitative easing ma non è da escludere a questo punto che vengano prorogati). Se così fosse i prezzi delle obbligazioni europee potrebbero restare sostenuti e i rendimenti, che si muovono in direzione opposta, restare molto bassi. Ma va detto che i livelli attuali di cambio sono ancora gestibili. Quello che preoccupa al momento è più la velocità degli scostamenti che non il valore (1,25) in senso stretto. Non va dimenticato che nel 2014 la Bce accelerò con la politica accomodante quando il cambio era su livelli ben più alti di quelli attuali, a 1,4 dollari.

.... sulle imprese
Questo discorso vale anche per le imprese europee. Al momento un cambio a 1,25 non preoccupa (a parte per la violenza come sopra indicato) ma se tra qualche settimana il cambio dovesse portarsi a 1,3 e poi a 1,4 a quel punto verrebbe davvero toccata la soglia del dolore che equivarrebbe a un calo di esportazioni e utili.

.... sulle famiglie
Il percorso che abbiamo di fronte è comunque volto a una normalizzazione dei tassi. Quindi chi stipula oggi un mutuo a tasso variabile deve essere consapevole che nel corso del tempo la rata aumenterà. Ci potrebbe essere qualche sorpresa positiva invece sui conti di deposito con offerte al rialzo. Ma purtroppo bisogna ammettere che di solito l’aggiustamento al rialzo dei tassi da parte delle banche avviene con molta più lentezza rispetto a quanto si vede generalmente sul mercato monetario e dei bond.

.... sui turisti
C’è però una buona notizia. Costerà certamente meno andare in vacanza con la famiglia negli States.

twitter.com/vitolops

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