A Muscat, la capitale più affascinante del golfo persico, divisa a metà da un promontorio sul mare, un bond così grande non l’avevano mai visto: l’Oman ha lanciato 6,5 miliardi di dollari di Titoli di Stato, tutti piazzati sui mercati internazionali. Prima d’ora, la banca centrale del sultanato non aveva mai emesso un ammontare così importante di debito pubblico. L’«Oman Bond» andrà a spesare il bilancio statale e a far quadrare i conti pubblici del sultanato. Anche gli emiri scoprono i debiti.
Il crollo del petrolio, nonostante il recupero del 2017, ha fatto finire le finanze dei paesi arabi sotto stress: a Muscat il sultano Qabus Al Said, che da 48 anni regna ininterrottamente sul paese, secondo sovrano più longevo al mondo, firmerà per il 2018 un bilancio statale in perdita. Il deficit è vissuto come una sciagura tra i regni degli emiri, paesi con una storia recente ma da sempre prosperi e abituati a chiudere con forti surplus di bilancio. Ma ora il clima è cambiato e il sultano dell’Oman si è visto costretto a vendere titoli di stato, ossia ricorrere al debito pubblico, sul mercato per chiudere il budget statale. Non è il solo. Pochi giorni prima, 1300 chilometri più a est di Muscat, nel bel mezzo del deserto saudita, a Riyad, il governo saudita ha lanciato un sukuk, ossia un bond compatibile con la religione islamica, da 1,6 miliardi di dollari.
Il 2018, è la sensazione di analisti e banchieri, sarà un anno record per il debito del Golfo Persico: si stima che i paesi emetteranno bond per 80 miliardi di dollari, la cifra più alta di sempre. I paesi arabi vengono già da un altro anno record: nel 2017 appena chiuso hanno toccato i 70 miliardi di bond, per la maggior parte titoli di Stato (70% del totale): 10 miliardi in più di raccolta. E a giudicare da come il 2018 è partito, i paesi arabi potrebbero scalzare dal trono dei sukuk Turchia e Russia, i due paesi oggi dominanti quanto a collocamenti. Quattro dei cinque jumbo bond del 2017 sono venuti dal Golfo: Kuwait, Abu Dhabi e Arabia Saudita, che lo scorso settembre ha lanciato un bond ciclopico da 12 miliardi. I bond dei paesi arabi peraltro trovano una clientela internazionale assai interessata: il 75% delle emissioni di titoli di Stato è venduto a investitori stranieri. Dei 70 miliardi emessi l’anno scorso dai paesi del golf, solo 2,2 miliardi erano dei sukuk, quindi riservati esclusivamente a investitori islamici. Il debito pubblico degli emiri finisce in mani europee; una sorta di contrappasso, avendo i paesi arabi fatto shopping a mani basse di aziende e banche in Europa.
Invece, costretti a fare i conti con bilanci in rosso, anche emiri e sceicchi, che si pensava avessero una ricchezza infinita, hanno scoperto il fascino del mercato dei capitali, ossia indebitarsi tramite titoli di Stato, come una qualsiasi nazione. L’Oman, per esempio, è tornato sul mercato dei capitali a distanza di un anno. L’ultima volta era stato a maggio del 2017, con un’emissione da 2 miliardi. L’Arabia Saudita, invece, emette bond ormai ogni mese; questo è il quinto mese di fila. Le economie dei paesi del Golfo si stanno dunque occidentalizzando: si aprono al deficit spending, ossia a bilanci in passivo e indebitamento, per far funzionare lo Stato. La voce spese, in passato mai un problema, è ora un’onere a causa di anni di grandeur e di boom in cui gli stati del Golfo hanno trasformato le loro città in metropoli occidentali e i costi di gestione è stato salato.
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