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Elezioni, il grande capitale non teme il rischio Italia

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LUSSEMBURGO

Elezioni, il grande capitale non teme il rischio Italia

Lussemburgo - Olycom
Lussemburgo - Olycom

LUSSEMBURGO - Se il Lussemburgo, la Singapore d'Europa ancor di più ora che tira il vento Brexit, lo si può considerare una buona cartina di tornasole per le imminenti elezioni in Italia, allora il grande capitale non teme il Rischio Italia. E anzi, in qualche modo, sdogana pure il temuto e molto teoricamente eurofobo M5S. Contano stabilità e crescita economica; finché ci sono questi due elementi, i cosiddetti “poteri forti” danno poco peso al colore politico o al partito che governa.

Dagli uffici di Cercle Cité, centro congressi ricavato da un palazzo in stile neoclassico che affaccia sulla Place D'Armes, il ministro delle Finanze Pierre Gramegna guarda all'Italia con molta attenzione. Non solo perché porta un nome italiano e anzi rivendica un certo orgoglio di parlare la lingua dei suoi parenti; ma anche perché il paese è uno dei maggiori contribuenti all'economia del GranDucato: qui in Lussemburgo ci sono 8 banche tricolori. L'Italia è il quinto paese straniero per presenza finanziaria: banche e affini gestiscono oltre 1200 fondi che hanno in cassa 350 miliardi,, l'8% del totale delle masse finanziarie domiciliate in Lussemburgo.

«Partiamo da una constatazione: l'ultima legislatura, coi Governi Letta, Renzi e Gentiloni, è durata. Lo stesso era successo per quella precedente». Sono 10 anni che in Italia non si va a elezioni anticipate: «Il paese ha imboccato la strada della stabilità» e questo è il messaggio migliore che la comunità internazionale possa ricevere. Italia oggi è un paese più appetibile agli occhi degli investitori stranieri: «Siete riusciti a mantenere il debito sotto al 3% del Pil e soprattutto è tornata la crescita: i segnali che ci arrivano dall'Italia sono incoraggianti».

La tranquillità che sfoggia sembra lontana anni luce dagli allarmismi su rischi di una deriva populistica: l'onda lunga della Brexit, di Trump, del Referendum del 4 dicembre, in Lussemburgo non è un problema. Non c'è il timore di un governo anti-sistema da parte del Movimento 5 Stelle? «Qualsiasi risultato politico va bene. I Cinque Stelle (lo pronuncia in italiano, ndr) non vogliono mica uscire dall'euro». Se gli si fa notare che un referendum sulla moneta unica è stato per anni un cavallo di battaglia di Beppe Grillo, Gramegna ribatte, dimostrando un'ottima conoscenza della politica italiana, che M5S ha smussato questo aspetto e cambiato idea. «Credo che nemmeno i populisti cerchino un effetto dirompente». Se non è un endorsement, è sicuramente una grossa rassicurazione sulla governabilità: «Siamo fiduciosi che si formerà un governo di coalizione e la cosa non preoccupa finché l'Italia garantirà stabilità e crescita».

Più di Roma, in Lussemburgo preoccupa, invece, Londra: la Brexit, dipinta dai media come un'opportunità per l'Europa dando per scontato che un fiume di denaro delle banche lascerà il Tamigi alla volta del Vecchio Continente. E che dunque l'unico problema sia come spartirselo, tra le città che si fanno la guerra per candidarsi a nuova “city” finanziaria. Rischiano la fine dei polli di Renzo. Niente di più sbagliato, ammonisce il ministro: «C'è il rischio che pezzi di business che Londra dovrà lasciare, non arriveranno in Europa ma valichino l'Atlantico alla volta degli Stati Uniti o addirittura finiscano in Asia». Sarebbe un errore geopolitico fatale per l'Europa lasciare che l'Inghilterra vada alla deriva, chiudendo la porta. «La Ue dovrebbe cercare un accordo con Londra per darle accesso al mercato unico: si faccia un Free Trade Agreement con Londra».

In questa visione strategica generale, c'è ovviamente anche una parte di interesse nazionale: a Gramegna piacerebbe molto che il “porto” inglese in Europa, sia il Lussemburgo . E in effetti qualche asso ce l'ha: dal 2014 il micro-stato europeo ha abiurato alla sua storia di Paradiso fiscale. Perso anche il privilegio del segreto bancario, sono stati capitalizzati i decenni di vantaggi fiscali, che ne hanno fatto il principale hub finanziario europeo: 139 banche straniere che oggi, nonostante la fine dei privilegi, gestiscono risparmi per 4mila miliardi di euro e producono il 25% del Pil e sono il principale contribuente del Granducato e pure il principale datore di lavoro. Il risultato di questa concentrazione finanziaria lo raccontano i numeri: uno dei pochi paesi Ue ad avere un rating di Tripla A; un Pil che da 4 anni cresce al ritmo del 4% (in Italia si esulta per un +1,4%). Facile fare numeri quando si hanno più banche che abitanti, viene da replicare, ma il paese sa anche come attrarre investimenti stranieri: burocrazia leggerissima (ci vogliono 5 minuti per aprire un conto corrente per un impresa e tutto tramite telefonino) e un approccio da pionieri negli affari.

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