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Sfida Elliott-Vivendi su Tim, ecco le possibili mosse e contromosse in attacco e in difesa

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Con l’avviso di convocazione dell’assemblea - ufficializzato ieri - partono le danze su Tim. In questi casi si sa come si inizia, ma non come si finisce. E nemmeno si può dare per scontato di avere vincintori e vinti già il 24 aprile, quando si riuniranno i soci per approvare il bilancio e rinnovare il collegio sindacale. La settimana prossima il fondo Elliott - che si è proposto di sfidare Bolloré su governance, piani e strategie - comincerà a calare le sue carte. Chiederà l’integrazione dell’ordine del giorno per la revoca di alcuni amministratori: da cinque a sette, non di più perché altrimenti decadrebbe l’intero cda. Le ultime indiscrezioni parlano di cinque candidati italiani per sostituire cinque consiglieri stranieri: il presidente Arnaud de Puyfontaine, l’ad Amos Genish, i due manager di Vivendi Hervé Philippe e Frédéric Crepin, e Félicité Herzog, la cui indipendenza - riaffermata nel board del 6 marzo - era stata messa in dubbio da un precedente rapporto di consulenza col gruppo Bolloré.

Elliott pubblicherà quindi il “manifesto”, declinando più ampiamente le sue ragioni, anticipate nel primo statement. «Crediamo che governance, valutazione del titolo, direttive strategiche e relazioni con le Autorità italiane possano essere migliorate rimpiazzando alcuni consiglieri con nuovi amministratori completamente indipendenti e altamente qualificati», ha dichiarato martedì il fondo attivista di Paul Singer, che potrebbe, ma non è certo, dare visibilità alla lista per il board già la prossima settimana. A oggi i nomi certi sono due: Paolo Dal Pino, che in questi mesi ha lavorato con il fondo per “studiare il caso”, e Fulvio Conti, che ha dato disponibilità a essere candidato. Entrambi hanno un trascorso nel gruppo Telecom. L’ex ad di Enel (70 anni) era stato dal ’98 al ’99 direttore generale e cfo di Telecom Italia, ai tempi del “nocciolino duro”. Dal Pino (55 anni) aveva raggiunto il gruppo nel 2001, a cavallo del passaggio da Hopa-Colaninno a Olimpia-Tronchetti per gestire il riassetto di Seat e, quindi, per occuparsi del Brasile.

Ma non sono i posti in consiglio l’obiettivo prioritario di un fondo attivista, quanto piuttosto cambiare la direzione di marcia. Oltre alla governance, Elliott vuole splittare rapidamente la rete per fonderla con Open Fiber, convertire le risparmio che l’astensione di Vivendi aveva stoppato due anni fa e tornare al dividendo.

Non sarà però una passeggiata e nemmeno è pensabile che Vivendi resti con le mani in mano. Uno schema difensivo ipotizzabile a tavolino - da azionare dopo il record date del 13 aprile, quando sarà possibile misurare le forze in campo - è che si dimetta la maggioranza degli amministratori (almeno 8 su 15) per far decadere il consiglio. In questo caso dovrebbe essere convocata una nuova assemblea, dopo quella del 24 aprile, per rinnovare il board con il voto di lista. Alla peggio, Vivendi col 23,9% avrebbe certezza di far rieleggere cinque suoi consiglieri. Alla meglio, guadagnerebbe tempo per mettere a punto le contromosse.

Al road-show per il piano di Telecom Italia Genish si sarebbe presentato come il capo azienda, non come il “rappresentante” dei francesi. Ma questo non vuol dire che l’ex ufficiale israeliano abbia voltato le spalle a Bolloré, al quale ha fatto guadagnare molti soldi vendendo a Telefonica Gvt, la rete in fibra brasiliana che aveva contribuito a fondare e che aveva poi ceduto a Vivendi. Genish potrebbe tentare la mossa che non era riuscita a Franco Bernabè, quando al primo giro in Telecom aveva cercato di resistere all’avanzata dei “capitani coraggiosi” concordando la fusione con Deutsche Telecom. Contrario all’abbraccio con i tedeschi di Stato il premier di allora Massimo D’Alema, l’assenza di Tesoro e Bankitalia aveva fatto mancare il quorum all’assemblea che avrebbe dovuto dare la benedizione alle nozze.

I “soliti sospetti” di oggi sono sempre gli stessi: o Orange, che in un recente passato non ha fatto mancare gli ammiccamenti, o Telefonica, per cui ha lavorato Genish portando Gvt. La logica punterebbe soprattutto alla Spagna, dove Altantia ha ancora aperta la partita su Abertis. Telefonica, a differenza dell’ex France Telecom che ha ancora lo Stato come azionista, è una public company e conosce Telecom per essere stata nel capitale con Telco. Allora era forse il socio che più aveva osteggiato i piani di spin-off di Bernabè, al secondo giro al vertice del gruppo.

Ma i tempi sono cambiati e oggi Governo e forze politiche sollecitano, senza eccezioni, l’apertura del capitale della rete. Questa volta, però, non ci sarà bisogno di assemblee per sapere come la pensa Roma. Qualsiasi ipotesi di riassetto dovrà avere il benestare del Governo, dato che un’interpretazione restrittiva del golden power avrebbe come sicuro effetto deterrente quello di “commissariare” Telecom.

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