Finanza & Mercati

I tre motivi per cui Facebook e gli altri big dell’hi-tech stanno…

  • Abbonati
  • Accedi
“fang” economy in crisi

I tre motivi per cui Facebook e gli altri big dell’hi-tech stanno mandando in tilt i mercati

(Reuters)
(Reuters)

Il 12 marzo del 2000 scoppiava la bolla dei titoli Internet. Il 12 marzo del 2018 i titoli tecnologici più importanti del pianeta hanno avviato una scia ribassista che al momento non è dato sapere quando terminerà. Da allora, in appena due settimane di contrattazioni, Facebook ha perso il 17%, ovvero 75 miliardi di capitalizzazione. Amazon ha perso il 5% proprio mentre puntava dritto ai 1.000 miliardi di capitalizzazione. Le vendite non hanno risparmiato nessuno: Apple ha perso il 13%, Twitter il 21%, Netflix il 12%.

Nel complesso il valore borsistico della cosiddetta Fang economy (un acronimo che comprende Facebook, Apple, Netflix e Google) è diminuito dal 12 marzo di 280 miliardi. È come se un sesto del Pil italiano fosse andato in fumo nel giro di poche sedute di Borsa.

Nell’era degli algortimi finanziari - che oggi governano il 66% degli scambi sui mercati - il crollo dell’alta tecnologia della Silicon Valley è riverberato sulle altre classi di investimento. Così anche altri settori sono stati coinvolti e, nel complesso, le Borse globali dal 12 marzo hanno perso qualcosa come 3.500 miliardi di dollari.

Come mai? Che cosa sta succedendo? Sono almeno tre i motivi per cui i titoli tech stanno soffrendo scatenando a cascata una fase di fragilità sui mercati. Tutto è partito dal caso Cambridge Analytica, la società di consulenza accusata di aver utilizzato dati prelevati da Facebook per influenzare la campagna elettorale delle ultime presidenziali Usa vinte da Donald Trump. Questa scoperta ha aperto il vaso di Pandora su temi molto complicati, come privacy, vendita dei dati a società esterne a fini di marketing da parte dei social network, e via discorrendo.

La questione è ora approdata al Congresso Usa. Si teme un giro di vite che possa limitare l’operatività dei social network che, a parte buone dichiarazioni di facciata e impegni filantropici, difatti hanno in mano il patrimonio del secolo, ovvero enormi banche dati sulla base delle quali noi utenti siamo tutti profilati e pertanto facilmente “vendibili” a fini di pubblicità mirate. I fatturati miliardari di Facebook e dei suoi concorrenti ruotano intorno ai big data di cui dispongono.

Se la politica dovesse regolamentare e frenare questo settore è evidente che ci potrebbero essere delle ripercussioni sul giro d’affari. Ed ecco perché in questa fase gli investitori stanno alleggerendo, anche con una certa violenza (mentre oggi Facebook abbozza un timido recupero Netflix, per citarne uno, crolla del 12%).

Sempre la politica potrebbe intervenire per penalizzare un altro colosso del settore come Amazon. Il presidente Usa Donald Trump avrebbe detto di voler aumentare le tasse a carico della società di Jeff Bezos. Secondo un rapporto di Axios per il presidente americano il colosso dell'e-commerce «sta uccidendo» il business dei grandi centri commerciali e dei negozi tradizionali.

La politica e una maggiore disciplina regolamentare e fiscale sui colossi hi-tech non sono l’unica paura degli investitori.

La seconda è legata a singole storie di autogol societari giunti con un tempismo da legge di Murphy. Tra queste storie c’è quella di Tesla, la società più famosa al mondo nel campo delle auto elettriche di lusso. Il fondatore e numero uno Elon Musk non ha fatto in tempo a criticare Facebook annunciando di essersi cancellato e invitando gli altri a fare altrettanto (seguendo l’hashtag #deleteFacebook) che la sua azienda è stata colpita da una notizia pesantissima.

La reazione in Borsa è stata molto forte (ieri -8%, oggi -10%) dopo che la società ha comunicato di non essere in grado di fornire spiegazioni sull'incidente mortale di venerdì scorso, nel quale è deceduto il conducente della Model X andata a fuoco dopo una collisione. Intanto l’agenzia di rating Moody's ha abbassato il rating a “B3” da “B2” con outlook negativo anche a seguito dei ritardi nella produzione della berlina Model 3.

Questi due fattori ribassisti vengono peraltro accelerati da un terzo: la volatilità sui mercati in questo inizio d’anno si è impennata. Gli investitori sono consapevoli che sul mercato dei bond si è ormai gonfiata una bolla (alimentata dagli acquisti delle banche centrali degli ultimi anni) mentre le azioni vengono da nove anni di rialzi consecutivi e comprarle oggi costa caro. In questo senso le difficoltà del settore hi-tech potrebbero essere usate come l’occasione che molti aspettavano per dare il la alla stagione delle prese di profitto.

twitter.com/vitolops

© Riproduzione riservata