Effetto gregge! Quante volte, di fronte alla crescita o ai crolli spropositati dei prezzi in Borsa, è rimbalzata quest’affermazione. Un modo semplice per giustificare il crearsi, e lo scoppiare, delle bolle finanziarie. Impennate, e tonfi, di cui è piena la storia dei mercati. Dalla “follia” dei tulipani olandesi nel 1600 alla mania per dotcom fino al più recente innamoramento da Bitcoin. Fenomeni che, da una parte, si ripetono costantemente nel tempo; e, dall’altra, non vengono più relegati ad incidenti di percorso.
La finanza comportamentale
La finanza comportamentale ha ampiamente dimostrato che la teoria dell’homo oeconomicus è fallace (o perlomeno non così esatta). L'idea secondo cui l'investitore, in maniera razionale, sia capace di massimizzare i benefici e minimizzare le perdite non corrisponde alla realtà. Siamo, dobbiamo rassegnarci, irrazionali. Quando abbiamo un titolo con cui stiamo guadagnando tendiamo, in linea di massima, a vendere prima del tempo. Perché? Semplice: vogliamo, in modo irrazionale, anticipare il “piacere” della plusvalenza. Al contrario, nel momento in cui siamo in perdita, manteniamo l’azione in portafoglio per troppo tempo. Di nuovo, siamo guidati da situazioni “ancestrali”, vogliamo allontanare la “sofferenza” della minusvalenza. Certo: diversi trader professionali, anche grazie agli esperimenti della finanza comportamentale, hanno ridotto di molto simili errori. E, tuttavia, lo scenario di fondo rimane quello descritto.
Nella mente dell’investitore
Orbene, a fronte di questo contesto il signor Rossi domanda: quali sono le cause, da un punto di vista neurobiologico, dell’effetto gregge? In altre parole: come “nasce” una bolla finanziaria nel nostro cervello? Una risposta la fornisce Matteo Motterlini, docente di economia cognitiva all’Università San Raffaele. «Si mettono in moto - spiega lo scienziato - dei modelli di apprendimento». Vale a dire: ipotizziamo che un investitore stia perdendo in Borsa. La conseguenza è che proverà una emozione: il disappunto per avere realizzato la scelta sbagliata. Orbene: è stato dimostrato, grazie alla risonanza magnetica funzionale che individua quali parti del cervello si “accendono” durante lo svolgimento di un’attività, che «nell’osservatore dell’investitore in perdita si attivano dei meccanismi cosiddetti specchio». Cioè: aree cerebrali con cui comprendiamo e interpretiamo il sentimento negativo.
Queste zone attivate, a ben vedere, sono in grande parte le medesime che si “mettono in moto” quando il dispiacere lo proviamo noi stessi. In altre parole: il dispiacere osservato diventa il nostro dispiacere. Ecco, quindi, che può darsi il via all’effetto gregge. Nel momento in cui si vede che una persona, per un guadagno realizzato, ha una sensazione di “sollievo” crescerà in chi “guarda” la propensione al rischio. L’osservatore vorrà investire lui stesso, anche per evitare il rimpianto di non avere partecipato al rialzo dei prezzi. Al contrario: nel momento in cui si vede la frustrazione di chi sta perdendo, l’osservatore sarà indotto a ridurre la sua voglia di rischiare. Quindi, in linea di massima, venderà gli asset in suo possesso.
La digitalizzazione dei mercati
In un simile contesto, studiato dalla Neuroeconomia, ben può capirsi la dinamica delle bolle finanziarie: il perché della loro nascita e, poi, del loro scoppiare. Al che, però, il nostro signor Rossi pone un altro quesito: l’attuale digitalizzazione della finanza amplifica o riduce il fenomeno? La risposta è difficile. Da una parte può sottolinearsi che la diffusione dei mezzi digitali sui cui corrono le informazioni, e gli stessi prodotti finanziari, ha un effetto moltiplicatore. L’osservazione, ad esempio, può essere facilitata e quindi il fenomeno si amplia. Dall'altra, però, l’automazione dei processi potrebbe avere un effetto calmierante. Vediamo di spiegarci: l’espansione dei robot in Borsa ha anche, e soprattutto, l’obiettivo di bypassare proprio l’irrazionalità dell’uomo. Nel momento in cui il trader automatico è in funzione, il meccanismo descritto sopra non dovrebbe realizzarsi. O, comunque, dovrebbe essere limitato.
Il denaro come droga?
Di là dal tema delle bolle, più in generale, non può dimenticarsi (come ricorda l’economista Sacha Gironde nel suo libro “La neuroeconomia, come il cervello fa i nostri interessi”) che il denaro ha un effetto particolare sull’uomo. L’economia tradizionale ha sempre affermato che i soldi servono in quanto consentono di acquistare beni. Sono uno strumento. Un mezzo. Orbene: diversi esperimenti hanno dimostrato che le cose non stanno proprio così. Quando, ad esempio, si dà a dei soggetti «l’opportunità di guadagnare facilmente del denaro, si osserva un aumento del rilascio di dopamina in una piccola regione del cervello (il nucleo accumbens)» che si trova «all’interno di quello che viene chiamato (...) cervello rettiliano». Vale a dire la sede, tra le altre cose, degli istinti primari. Cioè: attività non così vicine al concetto evoluto di “razionalità”. Non solo: il richiamo alla dopamina, sostanza chimica che trasmette segnali da gruppi di neuroni ad altri gruppi di neuroni, induce un’altra considerazione. «Il malfunzionamento del circuito cerebrale della dopamina», infatti, «è associato alla dipendenza ed impulsività. Tanto che nelle tossicodipendenze sono chiamati in causa proprio i meccanismi di rilascio e riassorbimento» di questa sostanza. Il ragionamento non porta alla conclusione, semplicistica, che il denaro sia una droga. E però, dice Gironde, «potrebbe dirsi che “consumiamo” il fatto stesso di possedere del denaro, ancora prima di consumare qualcosa tramite il denaro».
Insomma: altro che massimizzare l’utilità. I passi in avanti della neurobiologia, della finanza comportamentale, della neuroeconomia mostrano come le scelte finanziarie, gli investimenti sul denaro sono tutt’altro che razionali. O, perlomeno, sono influenzate da dinamiche molto più complesse di quanto si pensi. Capirle permette di conoscere meglio i meccanismi realmente alla base di bolle finanziarie e strategie di portafoglio.
© Riproduzione riservata