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Dossier Datagate, il «conto» sale a 700 miliardi

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Dossier | N. (none) articoliFacebook e il datagate

Datagate, il «conto» sale a 700 miliardi

(Epa)
(Epa)

Il conto dello scandalo “Cambridge Analitica” ha superato i 700 miliardi di dollari. Tanto il settore tecnologico a livello mondiale ha perso in termini di capitalizzazione dallo scoppio del «Datagate» due settimane fa. Chi ha perso più di tutti è ovviamente la società finita sul banco degli imputati: Facebook. Nelle ultime due settimane il titolo è sceso del 13,7% bruciando oltre 73 miliardi di dollari di capitalizzazione. Più dell’intero valore di mercato di Eni, prima società quotata a Piazza Affari, che di miliardi di dollari ne capitalizza 63. L’effetto contagio si è sentito in ogni caso su tutto il comparto.

A partire dalle società che lucrano sullo sfruttamento dei big data come Google, numero uno al mondo nella pubblicità digitale. Le azioni di Alphabet, la società che controlla il motore di ricerca, nelle ultime due settimane sono scese dell’8,5%, perdendo quasi 70 miliardi di dollari di capitalizzazione. In termini di performance poi è stato pesante il tributo pagato da Twitter. L’iniziale convinzione di una parte del mercato che il titolo del social network avrebbe tratto un vantaggio competitivo dalla crisi di Facebook si è rapidamente dissolta e in due settimane il ribasso è stato superiore al 18 per cento.

HI-TECH IN BORSA
Performance delle principali società tecnologiche mondiali nelle ultime due settimane. Dati in milioni di dollari. (Fonte: elaborazione Il Sole 24 Ore su dati S&P Market Intelligence)

Google, Facebook e Twitter hanno lo stesso modello di business: vendono pubblicità mirata struttando l’enorme mole di informazioni che ogni giorno regaliamo loro tutte le volte che facciamo una ricerca online o che condividiamo contenuti nella rete social. Lo scandalo Cambridge Analitica ha messo in luce il tema dell’utilizzo che queste aziende fanno dei nostri dati e dell’opportunità politica di mettere dei paletti a un business cresciuto per anni in pressocché totale libertà. Il mercato in queste due settimane ha venduto i titoli dei grandi gestori di “big data” e dei loro fornitori prefigurando un intervento legislativo che ponga dei limiti, non solo allo sfruttamento dei dati personali, ma anche all’abbondante ricorso all’arbitraggio fiscale che ha permesso ai giganti dell’Hi-tech di pagare meno imposte del dovuto. Questo in parte è già successo nell’Unione europea, dove da maggio entrerà in vigore la nuova direttiva a tutela dei dati personali (Gdpr) e dove è allo studio la cosiddetta «web tax» per uniformare il trattamento fiscale delle big tecnologiche. Ma anche negli Stati Uniti qualcosa si sta muovendo come dimostrano i recenti attacchi contro Amazon del presidente americano Trump . Dopo il tweet di giovedì, che ha mandato al tappeto in Borsa il titolo della società di Jeff Bezos, ieri Trump è tornato all’attacco accusando l’azienda di causare danni alle poste americane e di non pagare abbastanza tasse.

Anche se non è possibile ad oggi sapere quali misure saranno messe in atto per arginare il settore tecnologico, se saranno messe in atto e quale impatto avranno il mercato ha venduto pesantemente il settore tecnologico in Borsa. Non solo negli Stati Uniti, come dimostra il tonfo dei colossi cinesi del web Alibaba (-8,3% in due settimane) e Tencent (-12%). E non solo tra i titoli delle società che operano nel business dei «big data» come testimonia il calo di Apple (-5,75%) e Amazon (-7,9%).

C’è una bolla nel settore tecnologico? Si rischia di rivedere il copione della crisi delle dotcom di inizio anni duemila? La situazione, a dir la verità, è molto diversa e i bilanci delle aziende sono decisamente più solidi. Basti pensare all’arsenale di liquidità da 285 miliardi di dollari a disposizione di Apple. No, non c’è il rischio di una bolla ma quello di una correzione sì. Per una due motivi. Il primo è che, come accennato, le prospettive future non sono così rosee come un tempo e questo, per un settore le cui valutazioni si giustificano proprio sulla base sulle aspettative di crescita future, sta spingendo il mercato a valutare se il prezzo a premio a cui scambiano questi titoli sia congruo. Il secondo è che il mercato è sovraesposto sui big tecnologici. Il 38% degli investitori che hanno partecipato all’ultimo sondaggio di BofA Merrill Lynch considera la scommessa al rialzo sulle cosiddette FAANG (acronimo di Facebook, Apple, Amazon, Netflix e Google) il “trade” più affollato del momento. Per diversi anni questa è stata una strategia vincente ma quando sono in troppi a seguirla forse è meglio vendere e prendere profitto come in molti hanno fatto in queste settimane.

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