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Panico sanzioni alla borsa metalli di Londra. Dopo l’alluminio, vola anche il nickel: +10%

Norilsk: produzione nikel (Afp)
Norilsk: produzione nikel (Afp)

Il nervosismo per le sanzioni americane si è trasformato in panico al London Metal Exchange (Lme) dove alla corsa dell’alluminio si è unita quella del nickel. Le quotazioni del metallo – impiegato soprattutto nell’acciaio inox, ma anche nelle batterie – si sono impennate di oltre il 10%, toccando 15.875 dollari per tonnellata, il massimo da tre anni.

Tra gli investitori è sempre più forte l’allarme su Norilsk, un altro colosso russo che gli Usa potrebbero punire come Rusal. I nervi sono scoperti al punto che secondo Olivier Nugent di Ing è bastato che una «fake news» evocasse le sanzioni per scatenare gli acquisti . «Il mercato – spiega l’analista – ha frainteso il delisting di alcuni prodotti a marchio Norilsk. Questa decisione era stata presa lo scorso ottobre e non ha niente a che vedere con Rusal».

Un portavoce della borsa metalli londinese ha provato a fare chiarezza, ricordando di aver informato sei mesi fa gli utenti che avrebbe escluso due qualità di nickel di cui i russi hanno da tempo cessato la produzione (il Combine H-1 e il Combine H-1Y). Ma le rassicurazioni non sono evidentemente bastate a placare gli animi. Il nickel, sostenuto anche dal calo della produzione di Vale (-25% nel primo trimestre a 58.600 tonnellate), ha chiuso a 15.275 dollari (tre mesi), in rialzo del 7,5%.

Anche l’alluminio ha intanto proseguito il rally, aggiornando con un balzo di oltre il 5% il record da 7 anni (a 2.537,50 $/tonn). Il metallo è già rincarato di oltre il 25% dal 6 aprile, ma Goldman Sachs avverte che potrebbe spingersi fino a 3mila dollari se Rusal non tornerà presto a rifornire il mercato.

Norilsk, nota anche come Nornickel, per ora non è colpita dalle sanzioni Usa, ma Jp Morgan Cazenove ha avvertito che c’è un «imminente pericolo» che faccia la fine di Rusal, anche perché quest’ultima è uno dei maggiori azionisti del gruppo, con una quota del 28%. Forte di questa partecipazione Oleg Deripaska ha lottato a lungo, anche nelle aule dei tribunali londinesi, per strappare il controllo all’oligarca rivale Vladimir Potanin.

Se anche Norilsk subisse misure drastiche da parte degli Usa il mercato rischierebbe gravi contraccolpi: conseguenze simili o forse addirittura peggiori di quelle che le sanzioni a Rusal hanno provocato nella filiera dell’alluminio.

Norilsk non solo è un importante fornitore di nickel – responsabile del 10% dell’offerta mondiale, con 217mila tonnellate nel 2017 – ma è un vero e proprio gigante del palladio: l’anno scorso ha estratto 2,8 milioni di once, quasi la metà dell’intera produzione mineraria del pianeta, oltre ad acquistarne dalle riserve della banca centrale russa.

Anche le quotazioni del palladio, che a gennaio si era spinto ai massimi da 17 anni (1.138 $/oncia), si sono risvegliate sul timore di sanzioni a Norilsk: con un balzo di oltre il 3%, sono arrivate a sfiorare 1.050 dollari.

Sia il nickel sia, in modo ancora più marcato, il palladio sono da anni in deficit di offerta. L’alluminio soffre invece del problema opposto, ma solo se si include nel conto la produzione cinese.

Proprio Pechino, benché colpita dai dazi americani, potrebbe essere chiamata a tappare i “buchi” sul mercato, che rischiano di assumere dimensioni davvero allarmanti. Per Vivienne Lloyd di Macquarie il deficit di alluminio al di fuori della Cina raggiungerebbe 5 milioni di tonnellate se Rusal fosse completamente tagliata fuori.

Ad aggravare la situazione c’è il problema dell’allumina, per cui si rischiano carenze (dovute anche a tagli di produzione in Brasile): il prezzo supera ormai 700 $/tonn, qin rialzo dell’80% dall’annuncio di sanzioni contro Rusal. . Rio Tinto, che scambia bauxite e allumina con la società russa, ieri ha segnalato che potrebbe essere costretta a frenare la produzione di alluminio «come conseguenza delle sanzioni Usa».

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