Dopo aver gettato nel caos il mercato dei metalli, con dazi contro la Cina e sanzioni contro la Russia, Donald Trump ora mette nel mirino l’Opec, accusandola di mantenere i prezzi del petrolio «artificialmente molto alti». L’attacco del presidente americano è arrivato come al solito con un tweet, diffuso proprio mentre in Arabia Saudita era in corso un vertice ristretto tra alcuni ministri dell’Organizzazione e di altri Paesi alleati nel taglio della produzione di greggio. Tra i presenti anche il russo Alexander Novak e ovviamente il padrone di casa, Khalid Al Falih, che non ha esitato a replicare: «Non esiste un prezzo artificiale del petrolio, è il mercato che determina i prezzi».
Più ironico Novak, che se l’è cavata con una battuta: «Il nostro accordo – ha dichiarato a Bloomberg Tv – ha rimesso in piedi l’industria del Texas».
Il segretario generale dell’Opec, Mohammed Barkindo, che ha incontrato più volte rappresentanti di società americane dello shale oil, è invece apparso quasi piccato: «Noi dell’Opec siamo orgogliosi di essere amici degli Stati Uniti – ha detto – Non abbiamo nessun obiettivo di prezzo. I nostri tagli hanno salvato l’industria petrolifera da un crollo imminente e ora stanno riportando la stabilità sul mercato».
I toni scelti da Trump sono molto simili a quelli che in altre occasioni hanno alimentato il timore di guerre commerciali. «Sembra che ci sia di nuovo di mezzo l’Opec – ha scritto l’inquilino della Casa Bianca – Con quantità record di petrolio ovunque, anche su navi stracariche in mare, i prezzi del greggio sono artificialmente molto alti! Non va bene e non sarà accettato!»
Negli ultimi giorni le quotazioni del barile hanno in effetti accelerato il ralIy fino a spingersi al record dal 2014, vicino a 75 dollari nel caso del Brent e a 70 dollari nel caso del Wti. Anche ieri la seduta era cominciata all’insegna dei rialzi, ma le parole del presidente Usa hanno imposto una brusca inversione di rotta, mandando le quotazioni in territorio negativo (verso la chiusura sono tornate vicine alla parità).
Il messaggio di Trump fa temere qualche forma di ritorsione verso l’Opec – forse dei dazi o chissà magari addirittura un embargo – ma allo stesso tempo solleva perplessità.
Gli Usa ancora oggi importano molto greggio e ultimamente la benzina è rincarata parecchio, un tema al quale gli americani sono molto sensibili, ma grazie allo shale oil sono anche una potenza petrolifera: oggi estraggono ben 10,5 milioni di barili di greggio al giorno, superando addirittura i sauditi, e ne esportano oltre 2 milioni, più della maggior parte dei Paesi Opec.
Il tweet peraltro dipinge condizioni di mercato che non corrispondono più alla realtà: l’eccesso di offerta è un problema del passato. Le scorte petrolifere sono crollate – in gran parte proprio per effetto dei tagli, senza precedenti, effettuati da Opec e Russia – e il mercato teme piuttosto di doversi confrontare con una scarsità di greggio. È anche per questo che il prezzo del barile ha ripreso a correre. L’altro motivo sono le tensioni geopolitiche, alle quali la Casa Bianca non è certo estranea.
Secondo molti analisti, un forte sostegno al rally del petrolio arriva dalla minaccia americana di ripristinare sanzioni contro l’Iran. Se accadesse il mercato potrebbe perdere altri 500mila barili al giorno, in aggiunta a quelli sottratti dall’Opec e dai suoi alleati: i tagli (in parte involontari, come nel caso del Venezuela) sono arrivati a 2,7 milioni di bg, pari al 3% della domanda globale di greggio, ben superiori agli 1,8 mbg che erano stati promessi. E la coalizione – o forse sarebbe meglio dire Riad – per il momento non è orientata a fare marcia indietro.
Il saudita Al Falih ieri ha respinto come «sciocchezze» le affermazioni dell’Agenzia internazionale dell’energia (Aie), secondo cui l’Opec sarebbe nelle condizioni di dichiarare «missione compiuta». «Dobbiamo avere pazienza e non essere avventati – ha ammonito il ministro di fronte alle telecamere della Cnbc – Non dovremmo sentirci soddisfatti a sentire sciocchezze come quella che avremmo compiuto la nostra missione. Abbiamo ancora molto lavoro da fare».
Al Falih ha richiamato l’attenzione in particolare sulle scorte petrolifere, calate ma non tornate ai livelli pre-crisi, e sulla ripresa degli investimenti che è ancora insufficiente. Il mondo, ha aggiunto, ha la «capacità di assorbire prezzi più alti».
La Russia d’altra parte potrebbe essere riluttante a proseguire a oltranza i tagli di produzione. Il ministro Novak ieri ha prima accennato alla possibilità di discutere un’attenuazione al vertice di giugno a Vienna, poi si è riallineato: «Dovemmo continuare i nostri sforzi congiunti. Ci sono ancora troppi rischi per l’equilibrio del mercato».
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