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Tim, Elliott e Vivendi «costretti» alla guerra. Ecco…

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dopo il caso bolloré

Tim, Elliott e Vivendi «costretti» alla guerra. Ecco perché

(Ansa)
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Elliott e Vivendi sono condannati a farsi la guerra su Telecom almeno fino al 4 maggio quando si andrà alla conta sul rinnovo del board. Uno scenario condizionato non solo dall’esigenza di misurare i rapporti di forza, ma anche e soprattutto dal vincolo di non suscitare sospetti di concerto che - se avvalorati - farebbero scattare l’obbligo di Opa, con la media company francese (23,94%) già a un soffio dalla soglia del 25%. Tanto più che si tratterebbe di spartirsi i posti in consiglio, tema sensibile ai fini del controllo. Per questo motivo Vivendi ha anche rinunciato ad avvalersi dell’ausilio di Sodali per la sollecitazione delle deleghe.

Chiaro comunque che un cda diviso, tra maggioranza e minoranza che emergeranno dalla disputa tra poco più di una settimana, creerebbe le premesse per aggravare il “danno” alla compagnia telefonica già denunciato dall’ad Amos Genish e dal vice-presidente Franco Bernabè. E altrettanto chiaro che, più prima che poi, un modus vivendi (con la minuscola) andrà trovato, considerato che Vivendi (con la maiuscola) non ha intenzione di recedere dal suo status di primo azionista, che Elliott non molla (lo fa di mestiere) e che tanto meno può tirarsi indietro Cdp che è stata autorizzata, in chiave stabilizzatrice, a rilevare una quota fino al 5% e all’assemblea Tim del 24 aprile si è presentata con già in tasca il 4,775%.

Nel frattempo prosegue il fuoco incrociato. Messo da parte il fair play, su entrambi i fronti, Vivendi ha accusato l’avversario di «incoerenza» per aver sostenuto la riconferma dell’ad Amos Genish (che all’ultima assemblea ha sfiorato l’en plein con oltre il 98% dei consensi) e averne contestato allo stesso tempo il piano. Il fondo di Paul Singer - con una lettera agli azionisti pubblicata sul fuso orario americano nella tarda serata di mercoledì - ha implicitamente replicato, dichiarando il proprio supporto al «piano industriale che Genish e il suo management team stanno portando avanti» (le proposte finanziarie sono state trascurate in quest’ultima comunicazione), ma ribadendo che il problema è e resta la governance.

Agli “incidenti” già rilevati (la procedura bocciata per la joint con Canal Plus, il tentativo di coinvolgere Tim nel risolvere la diatriba con Mediaset, il contratto con Havas da 92 milioni, il ruolo “in distacco” di Michel Sibony alla direzione acquisti, l’effettiva indipendenza di Felicité Herzog che aveva un rapporto di consulenza di centinaia di milioni con il gruppo Bolloré, il mancato rispetto della legge Gasparri per la contemporanea presenza in Tim e Mediaset e la tardiva notifica dell’assunzione del controllo di fini del golden power), l’attivista Usa ha sparato a pallettoni sulle recenti disavventure di Vincent Bolloré, che è a capo di tutta la filiera e che, proprio per le attività in Africa del suo gruppo, è finito indagato per corruzione internazionale. In attesa degli sviluppi, Elliott non ha mancato di rimarcare che è solo «l’ultimo di un preoccupante track record di conflitti, interessi particolari e persino di potenziali più gravi illeciti da parte di chi pretende di ottenere la nostra (dei soci ndr) fiducia per guidare Telecom: troviamo difficile riconciliare il perorare una buona governance con il voto alla lista Vivendi».

La situazione comunque si è fatta più complicata per tutti. Difficilmente sarà eguagliato il record di affluenza dell’assemblea del 24 aprile, quando si è presentato il 65,9% del capitale. I fondi (pressochè tutti esteri) rappresentati per delega dallo studio Trevisan avevano in mano, tutti insieme, il 25,7% del capitale. In teoria i fondi dovrebbero riconfermare compattamente la presenza per la ricostituzione del consiglio, dopo che il Tribunale di Milano, accogliendo il ricorso d’urgenza di Tim e Vivendi, ha sospeso la votazione su revoca e nomina di sei amministratori chiesta da Elliott. Tuttavia nel frattempo è esplosa la questione Bolloré che potrebbe avere un impatto sulle decisioni di voto degli investitori istituzionali, con la tentazione di “assenze diplomatiche” da parte di chi non ritenesse opportuno esporsi in un senso o nell’altro. Ad ogni modo, per le regole italiane, presenza e comportamento in assemblea sono pubblici trascorsi trenta giorni dall’adunanza dei soci. Elliott (9,1%) e Cdp (4,775%) hanno partecipato invece direttamente all’ultima assemblea.

Nel frattempo Vivendi ha rinsaldato ulteriormente i rapporti con Orange (l’ex France Telecom, che ha lo Stato per socio di riferimento), siglando una partnership per la catena di cinema del gruppo nell’Africa francofona centro-occidentale.

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