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Genish: «Se Vivendi perde potrebbe diventare insostenibile la mia…

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al “Sunday Telegraph”

Genish: «Se Vivendi perde potrebbe diventare insostenibile la mia posizione alla guida di Telecom»

Vincent Bolloré è indagato dai magistrati anticorruzione di Nanterre, “presunto innocente” non ancora rinviato a giudizio, per lo “scambio di favori” in Guinea e Togo. L'ad di Telecom, Amos Genish, mette in chiaro – dalle colonne del “Sunday Telegraph” - che la sua posizione, se vince Elliott, potrebbe diventare insostenibile. Elliott per ora tace. Quadro quantomai incerto a pochi giorni dall'assemblea Tim che, venerdì, sarà terreno di confronto tra due liste di maggioranza con dieci nomi ciascuna, quella di Vivendi (quasi fotocopia del cda uscente) e quella di Elliott (apparentemente senza un candidato ad), per conquistare i due terzi del consiglio: chi vince piazzerà i suoi dieci amministratori, chi perde dovrà accontentarsi di cinque posti.

«Se la lista di Vivendi non ottiene la maggioranza, perché questa è chiaramente l’unica lista che sostiene il nostro piano industriale a lungo termine, credo fermamente che la mia posizione come ceo sarebbe insostenibile», ha dichiarato Genish al Sunday Telegraph. Parole che, secondo gli osservatori più attenti, sono in grado di spostare almeno il 5% dei voti. «La questione non è da che parte sto, io sono il ceo di Telecom Italia e sto dalla parte di Telecom Italia – aveva premesso il manager col giornale britannico - La questione è se avrò o meno azionisti e un consiglio che supportano il piano industriale». Piano che, approvato all'unanimità, evidentemente Genish non ha intenzione di modificare.


Sebbene su Telecom i risultati siano ancora da provare, il manager israeliano gode ancora di ottima reputazione per il lavoro svolto in Brasile con Gvt, l’ex start up in fibra venduta a Vivendi e qualche anno dopo a Telefonica, a valutazioni stellari e con il baratto ispano-francese di una quota in Telecom Italia che poi Bolloré ha arrotondato fino all'attuale 23,94 per cento. La gestione di Vivendi – come ha denunciato anche il fondo di Paul Singer – è stata zeppa di incidenti di governance e di partite irrisolte affidate al contenzioso, e l’area grigia in cui si trova il finanziere bretone a capo di tutta la filiera non aiuta a ristabilire un clima di fiducia.

Vivendi parte però dalla posizione di forza del primo azionista, con in mano il quasi 24% del capitale ordinario di Telecom, una quota che sarebbe diluita al 17,15%, se non avesse fatto valere il suo peso, astenendosi nell’assemblea di due anni fa, per impedire la conversione delle azioni di risparmio, a lungo attesa dal mercato. Nell’imbarazzo, una parte dei fondi esteri potrebbe essere tentata di disertare l’adunanza di venerdì e difficilmente, quindi, si riconfermerà la presenza di tutto quel 25,7% in mano a investitori “terzi” che aveva affidato le sue volontà di voto allo studio Trevisan il 24 aprile, quando si trattava di decidere sulla revoca parziale del cda, con nomina e revoca di sei consiglieri richiesta dall'attivista Usa che il Tribunale di Milano, accogliendo il ricorso d'urgenza di Tim e Vivendi, ha deciso alla vigilia di cancellare.

Dall’altra parte c'è Elliott, che ha arrotondato al 9,191%, ma non può oltrepassare il 10% senza sottoporsi un'altra volta al vaglio del golden power. E c’è la Cdp, col suo 4,775%, che è rimasta silente nella sua prima adunanza da socio Telecom. Ma che forse ora sarebbe opportuno chiarisse come intende esercitare quel ruolo “stabilizzatore” per il quale è stata autorizzata a salire fino al 5% nell’incumbent tricolore delle tlc, oltretutto – per i suoi asset – dichiarato “strategico” per gli interessi nazionali.

Perché, nella sfida all’ok corral tra francesi e americani, chiunque vinca venerdì vincerà sul filo di lana e Telecom sarà condannata a una pressoché certa ingovernabilità finché non maturerà un riassetto definitivo.

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