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Perché il rischio sui BTp a breve termine si è impennato in poche ore

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Perché il rischio sui BTp a breve termine si è impennato in poche ore

Lo spread, certo! Ma ancora di più è utile guardare al rendimento dei Titoli di Stato italiani. Ebbene: qui c’è una dinamica importante. Quale? Il tasso delle scadenze più brevi è in aumento. E non solo. Tra due Titoli, in serata, c’è stata l’inversione dell’inclinazione della curva. Il rendimento del BTp a 6 anni, secondo il terminale Bloomberg, è infatti arrivato al 3,1% mentre quello della scadenza a 7 anni è al 2,94 per cento.

Certo: si tratta di un movimento che può essere temporaneo. Dopo un po’ di tempo potrebbe rientrare. Tuttavia il valore segnaletico è rilevante.

In una situazione normale, a scadenze più lunghe corrispondono rendimenti maggiori. Il perché è di facile intuizione: al di là del fatto che il saggio di un titolo è conseguenza dell’inflazione e delle dinamiche di mercato, più a lungo un creditore presta i suoi denari al debitore e più alti interessi vorrà. La scelta di non disporre (ed usare) i propri soldi, infatti, deve essere remunerata. Maggiore è l’arco di tempo in cui ci si priva dei denari e maggiore sarà il corrispettivo richiesto. Orbene la cosiddetta curva dei rendimenti è impostata (anche) su questo ragionamento. Partendo dalle scadenze più brevi , i tassi via via aumentano. Così la “Yield curve” ha un’inclinazione positiva.

L'IMPENNATA DEI TASSI A BREVE
Rendimento dei Btp biennali

Oggi invece, per l’appunto, tra il BTp a 6 anni e quello a 7 il meccanismo non funziona. Perché? Evidentemente gli investitori, a torto o ragione, sono da un lato preoccupati dalla crisi politica italiana; e, dall’altro, incominciano a temere di più per la restituzione a breve dei loro soldi rispetto alle scadenze più lunghe. Vale a dire: c’è la paura che possa accadere qualcosa di grave in un arco di tempo ristretto. La considerazione, peraltro, è rafforzata dal rialzo dei tassi un po’ su tutta la parte iniziale della curva. Il BTp a due anni in serata è arrivato al 2,7%. Insomma: non un bel segnale. Certo: rileva la speculazione. Inoltre ieri i mercati inglesi e Usa erano chiusi. Quindi questa mattina si sono scaricate, in un solo colpo, le pressioni ribassiste cumulate nel tempo. Ciò detto, la differenza tra il rendimento del decennale e il biennale italiano si è assestata a 54 basis point. Un messaggio forte e chiaro...e negativo.

Anche perché, non va dimenticato, sui titoli di Stato italiani (come in quelli degli altri Paesi dell’Unione monetaria) è ancora aperto l’ombrello dell’allentamento quantitativo della Bce. Una protezione che, seppure in via di riduzione con il tapering (l’uscita programmata dal Qe), deve avere di fatto limitato i danni sul fronte dei governativi italiani.

Quei titoli che, non va scordato, devono fare i conti con la stessa crisi politica in Spagna. Il Governo presieduto da Rajoy venerdì sarà sottoposto al voto di sfiducia. Un’altra mina vagante per l’euro. Giustamente bisogna sempre affermare che le democrazie non devono essere sottoposte alla dittatura dello spread né ai ricatti dei mercati. E però (purtroppo) con questi mercati, volenti o nolenti, dobbiamo farci i conti. Pensare che non esistano sarebbe un errore fatale.

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