Eonia ed Euribor, vecchi e nuovi, ma anche Ester e il free-risk rate alternativo che ancora deve essere prima individuato e poi battezzato. Gira davvero una babele di nomi attorno alla complessa riforma dei parametri di riferimento dei mercati monetari, investiti prima dai risvolti della crisi subprime e poi da scandali che hanno coinvolto anche nomi di prestigio della finanza costretti successivamente a pagare sanzioni miliardarie per le infrazioni commesse. In pratica una giungla di tassi all’interno della quale dal primo gennaio 2020 - termine fissato dalla European Benchmark Regulation (Bmr) entro il quale gli indicatori dovranno conformarsi a una serie di principi - rischiano di restare intrappolati contratti del valore di migliaia di miliardi di euro per una vicenda che in fondo riguarda un po’ tutti: banche, governi, imprese e soprattutto famiglie.
Nel cammino verso la sostituzione dei vecchi «ibor» - i tassi del mercato monetario che assumono nome diverso in base alla zona di riferimento, Libor, Tibor ed Euribor nell’area euro - si sono scelti percorsi differenti. C’è chi si è affidato alla garanzia del collaterale, come Usa e Svizzera, chi come Giappone e Gran Bretagna ha preferito rimanere ancorato alle transazioni non protette (unsecured). In Europa il cantiere è ancora aperto e sembra procedere con velocità poco spedita, diffondendo anche un certo allarme fra gli operatori del settore.
I tempi, come detto, sono piuttosto serrati: fra appena un anno e mezzo soltanto i nuovi benchmark conformi a una serie di principi che la Brm ha a sua volta recepito dalle indicazioni della Iosco, l’associazione internazionale degli organismi di controllo dei mercati, potranno essere utilizzati per siglare i nuovi contratti. Non è ancora invece ancora chiaro cosa accadrà ai «vecchi» strumenti ancora indicizzati ai parametri esistenti: intrappolati in una sorta di terra di nessuno, stima la Bce, potrebbero restare prestiti per 2.900 miliardi di euro e strumenti di debito per ulteriori 360 miliardi circa suddivisi fra titoli di Stato, obbligazioni bancarie e aziendali.
I cantieri sono in ogni caso all’opera, su diversi fronti, e per sostituire l’Eonia, il tasso overnight, si è per esempio mossa in prima battuta la stessa Bce. Sui dettagli del nuovo indice di riferimento si sta ancora lavorando senza sosta (qualche settimana fa sono stati resi noti gli esiti della seconda consultazione pubblica fra gli operatori), ma c’è già un nome visto che recentemente è stato ribattezzato Ester, acronimo di Euro Short-Term Rate. La tempistica prevede a questo punto il via libera da parte dell’Eurotower, che potrebbe già arrivare in uno dei consigli fissati in estate, seguito poi da una fase di messa a punto sia delle procedure, sia degli aspetti tecnologici che richiederà tempo. La Bce ha fatto sapere che arrivare a un calcolo effettivo il nuovo tasso occorrerà attendere la seconda metà del prossimo anno, troppo tardi per le banche che invece chiederebbero più tempo per abituarsi alla rivoluzione.
Lungo una direzione parallela per la sostituzione dell’Euribor si sta muovendo, anche qui non senza inciampi e difficolta, l’European Money Market Institute (Emmi) «titolare» del parametro ancora più utilizzato in Italia per determinare le rate dei mutui oltre che dello stesso Eonia. Dopo aver abbandonato l’ipotesi di affidarsi a un tasso completamente determinato sulla base degli scambi di mercato si è puntato a una soluzione «ibrida» tutt’ora in fase di sperimentazione. Il test affidato alle stesse banche che fanno parte del panel di rilevazione Euribor (ormai ridotte a 20) si concluderà a fine luglio, seguirà poi la necessaria consultazione pubblica che precederà l’approvazione da parte della Fsma (l’autorità di controllo belga, dalla quale è regolata) in base ai principi Brm-Iosco, necessaria perché l’indice possa essere operativo dal 2020.
A rendere ancora più complessa la situazione contribuisce anche l’attività del gruppo di lavoro sul cosiddetto risk-free rate. Istituita ancora una volta dalla Bce, dalla Commissione Ue, dalla Fsma e dall’Esma questa task force riunisce in primo luogo gli operatori dell’industria con il compito di identificare il tasso alternativo da utilizzare in caso di mancato funzionamento dei parametri e sul quale poi costruire una struttura a termine in modo da poter essere adattato ai tassi a scadenza (come l’Euribor) e non si soli overnight. Anche in questo caso i tempi sono serrati e non è da escludere che questo nuovo tasso, una volta ottenuta la necessaria approvazione dei regolatori, possa incontrare maggior favore sul mercato tanto da soppiantare addirittura Eonia, Euribor e il loro successori.
“L’auspicio è che il costo inevitabile per ottenere un benchmark più solido e affidabile non finisca per essere trasferito a imprese e famiglie, che fra prestiti e mutui detengono una fetta rilevante della posta in gioco”
In caso contrario il rischio è di trovarsi appunto di fronte a una molteplicità di indicatori, con conseguente aggravio da una parte dei costi per le banche chiamate a rilevarli con cadenza quotidiana e dall’altra dell’incertezza degli clienti i cui bilanci dipendono anche da quei parametri. Di certo la fase di transizione che si aprirà il prossimo anno e che vede in ogni caso coinvolti, oltre alle cifre indicate in precedenza, prestiti sul mercato monetario indicizzati all’Eonia per 2.900 miliardi e derivati legati in gran parte all’Euribor per quasi 64mila miliardi si prevede a dir poco complessa. L’auspicio è che il costo inevitabile per ottenere un benchmark più solido e affidabile non finisca per essere trasferito a imprese e famiglie, che fra prestiti e mutui detengono una fetta rilevante della posta in gioco.
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