Il cigno nero delle compagnie aeree quest’anno sta alla voce petrolio. Per anni i vettori hanno approfittato della calma piatta del costo del carburante, ma da qualche mese il vento è cambiato. La Iata, l’associazione internazionale delle compagnie aeree, nel suo recente meeting annuale, ha avvertito che l’incognita petrolio insieme al costo del lavoro peserà sui risultati dell’anno dal momento che i livelli attuali di 75 dollari al barile rappresentano un incremento del 55-60% rispetto allo scorso anno. Un trend destinato a consolidarsi, sempre secondo la Iata, fino alla metà del 2020.
Cambia lo scenario
Uno scenario che cambia il panorama del settore che dal 2006 al 2017 ha visto ridursi costantemente il peso del costo del petrolio sul totale dei costi operativi, fatta eccezione di una breve impennata nel 2012. Il ceo di Ryanair Michael O’Leary, nonostante i suoi modi ruvidi lo ha detto chiaramente: «Quelle compagnie che lo scorso anno non sono state in grado di generare utili quando il petrolio era a 40 dollari non sopravviveranno a questo inverno, se il greggio resterà a questi valori elevati (…) Chiaramente il petrolio a 80 dollari mieterà vittime in Europa». Sulla stessa linea il ceo della compagnia low cost ungherese WizzAir, Josef Varadi che dopo avere chiuso l’anno con un incremento degli utili del 22,1% quest’anno prevede risultati in linea con lo scorso anno: «Chi non ha fatto utili lo scorso anno, difficilmente ci riuscirà quest’anno» ha ribadito.
Tuttavia, passando dal particolare all’aggregato, le previsioni si confermano positive: dopo aver chiuso un anno record con utili per 38 miliardi di dollari, nel 2018 nonostante l’aumento dei costi, i profitti potrebbero attestarsi a 33,8 miliardi di dollari a conferma della loro «solidità», secondo la Iata. Intanto, la domanda continua ad essere sostenuta con previsioni di traffico in crescita del 7% a 4,3 miliardi di passeggeri (erano 4,09 miliardi nel 2017) e un fatturato stimato a 834 miliardi di dollari (+10,7% sul 2017).
Primo impatto sulle tariffe
Le compagnie aeree compensano l’aumento del costo del petrolio aumentando le tariffe aeree con un leg temporale dai tre ai sei mesi. I vettori sono soliti utilizzare come leva la voce fuel surcharge che rappresenta una tassa aggiuntiva, la quale non viene calcolata, ad esempio, alle agenzie di viaggio. Lo strumento principali per limitare gli effetti degli aumenti o diminuzioni del prezzo del petrolio sono i contratti di hedging, ma non tutte le compagnie ne fanno uso. Come nel caso dei vettori americani le quali raramente utilizzano questi strumenti, mentre in Europa le compagnie legacy (e alcune low cost) tendono a coprirsi fino al 70% il primo anno e fino al 50% il secondo, una technicality il cui scopo principale è di ridurre la volatilità. Con il prezzo del petrolio a 75 dollari al barile molti operatori scommettono sul picco massimo ormai raggiunto dal momento che gli aumenti non derivano dalla carenza di petrolio, ma da tensioni internazionali.
Come ha spiegato lo stesso commissario straordinario di Alitalia, Luigi Gubitosi in audizione al Senato, se il petrolio «rimarrà strutturalmente a questi livelli, chiaramente ci sarà un aumento dei prezzi nei prossimi trimestri con una crescita dell’incidenza del prezzo del petrolio». Per quanto riguarda Alitalia, «in questo secondo trimestre siamo ancora coperti in maniera importante, anche se mano a mano tenderà ad esserci una riduzione delle coperture».
I fattori in gioco
Sono numerosi i fattori che pesano sull’aumento dei costi del carburante: dalla media delle ore di volo, all’età della flotta, alla tipologia di aeromobili che compongono la flotta, alle politiche di hedging ovvero di copertura. Secondo un report della società di consulenza AlixPartners, i vettori low cost hanno un’incidenza elevata dei costi del petrolio sui costi operativi totali (oltre il 25%), essendo questi ultimi inferiori rispetto ai vettori legacy. Inoltre, le compagnie aeree che mostrano una flotta con una età media elevata e con velivoli wide body (ad alta capienza) hanno costi di carburante più elevati: se Ryanair e easyJet possono contare su una vita media della flotta di 7 anni la metà di quella di IAG pari 14 anni, per Lufthansa la vita media è di 11 anni, Air France-Klm 12 anni, Emirates 5 anni, la scandinava Sas 10 anni, secondo i calcoli di AlixPartners. Air France-Klm nel presentare i risultati di fine anno, ha sottolineato come nel 2017 il costo del carburante per il gruppo abbia inciso per 4,507 miliardi di euro (-90 milioni di euro rispetto al 2016) mentre per il 2018 le previsioni indicano un costo stimato in aumento di 150 milioni di euro , portando il costo totale del carburante attorno a 4,7 miliardi di euro, un dato che mostra la dimensione dell’impatto.
Gli investitori non si sono mostrati indifferenti alle ricadute del prezzo del petrolio. In Borsa, l’indice globale delle compagnie aeree è in calo dell’8,5% dall’inizio dell’anno una performance inferiore al FTSE All World che da gennaio arretra dello 0,5 per cento. Lufthansa da inizio anno perde il 22%, Air France-Klm -47%, American Airlines -17%, Delta -2,7% mentre tra le low cost Ryanair è positiva del 6,8%, easyJet +21,7%, Wizz Air +0,78 per cento.
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