Sembra quasi un ordine di scuderia. Uno dopo l'altro i protagonisti dello shale oil americano stanno cancellando la partecipazione all'Opec Seminar, il convegno biennale sul petrolio che oggi e domani a Vienna, alla vigilia del vertice dell'Organizzazione, metterà a confronto personalità del settore provenienti da tutto il mondo.
L'improvvisa serie di defezioni, da parte di alcuni tra i «frackers» più influenti e vicini alla Casa Bianca, avviene in un periodo di crescenti tensioni commerciali che contrappongono gli Stati Uniti sia agli altri maggiori fornitori di greggio - la stessa Opec e la Russia, alleata di quest’ultima nei tagli produttivi - sia alla Cina, primo importatore mondiale di greggio e mercato chiave per Washington, che per ritorsione contro i dazi sempre più pesanti annunciati da Donald Trump ora minaccia di boicottare i barili «made in Usa».
L'insorgere di altri imprecisati impegni ha spinto a ritirarsi all'ultimo minuto dall'Opec Seminar anche Harold Hamm, il miliardario fondatore e ceo di Continental Resources, uno dei pionieri dello shale oil. Hamm – amico di Trump e assiduo fornitore dei cinesi, a cui ha venduto almeno un milione di barili di greggio negli ultimi due anni – avrebbe dovuto partecipare alla tavola rotonda iniziale, insieme ai ceo di Eni, Bp e Total e in presenza delle più alte personalità dell'Opec, che in passato non ha disdegnato di incontrare, anche in privato. Stavolta non ci sarà.
Prima di lui nei giorni scorsi avevano dato forfait anche Mark Papa, un altro veterano dello shale oil, oggi alla guida di Centennial Resources, e Ryan Lance, numero uno di ConocoPhillips. Quest'ultimo doveva confrontarsi in un dibattito con diversi produttori del Golfo Persico e secondo fonti Reuters si sarebbe tirato indietro per paura di vedersi addossare il ruolo di antagonista, simbolo della rinata potenza energetica Usa.
A rappresentare lo shale oil a Vienna restano (per ora) solo Scott Sheffield di Pioneer Natural Resources e John Hess della Hess Corp. Anche ExxonMobil, regina delle major americane e protagonista nelle passate edizioni dell'Opec Seminar, quest’anno manca all'appello. E ovviamente non ci sono politici americani.
Quella dei petrolieri Usa non è l’unica assenza pesante. L’alleato numero uno dell’Opec, la Russia, ieri ha fatto sapere che il ministro dell’Energia Alexandr Novak non potrà intervenire all’Opec Seminar perché richiamato a Mosca per un briefing al Cremlino, ma sarà a Vienna domani (alla vigilia del vertice) e poi di nuovo sabato, quando dovrebbe essere formalizzato anche l’accordo con i Paesi non Opec.
Russi e sauditi hanno comunque avuto molte occasioni per discutere e concordano sulla necessità di aumentare la produzione di greggio (anche se non ancora sul “quantum”) per compensare le numerose emergenze sul fronte dell’offerta, dalle sanzioni Usa contro l’Iran al disastro venezuelano, fino al recente riaccendersi degli scontri in Libia.
Tra Opec e Stati Uniti la relazione è invece sempre più difficile. L’antica rivalità con lo shale oil si sta trasformando in uno scontro più aspro. E non solo per i reiterati tweet (ce n’è stato un secondo la settimana scorsa) in cui Trump accusa l’Organizzazione di mantenere i prezzi del petrolio «artificialmente troppo alti». Le manovre della Casa Bianca per ottenere dai sauditi l’impegno a compensare le forniture iraniane dopo le sanzioni hanno sollevato molta irritazione, non solo a Teheran, aprendo profonde divisioni nell’Opec. Ma non è tutto.
Nel nuovo contesto politico del “trumpismo”, il Congresso Usa ha rispolverato un vecchio disegno di legge già presentato più volte dal 2000 e sempre bocciato a causa dell’opposizione della Casa Bianca (sia sotto il repubblicano George Bush, sia sotto il democratico Barack Obama): il Nopec o «No Oil Producing and Exporting Cartels Act», un acronimo che lascia pochi dubbi su chi sia il bersaglio dei legislatori.
Il testo nemmeno stavolta avrebbe gandi chance di essere approvato, secondo gli esperti, anche se ha già passato il vaglio della commissione Giustizia e la settimana prossima andrà in discussione in aula. Ma con Trump mai dire mai.
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