È stato un lungo braccio di ferro, ma alla fine l'Opec non si è spaccata. Il vertice dell'Organizzazione si è concluso con l'impegno a portare più petrolio sul mercato: in teoria fino a un milione di barili al giorno aggiuntivi, insieme alla Russia e agli altri alleati, forniture preziose ora che la possibilità di gravi carenze di offerta – con l'inevitabile corollario di ulteriori rincari per l'energia – è tornata a preoccupare i consumatori. Sull'altare dell'unità il gruppo ha però dovuto fare sacrifici importanti. E la vittima principale in fin dei conti sembra essere l'Iran, che dopo aver a lungo puntato i piedi alla fine ha accettato di avallare l'intesa, senza ottenere una condanna ufficiale delle sanzioni Usa e piegandosi a un meccanismo che davvero rischia di consegnare ad altri Paesi Opec la sua quota di mercato (così come quelle di altri produttori in difficoltà, a cominciare dal Venezuela).
A convincere il ministro Bijan Zanganeh è stato un lungo colloquio privato con il collega saudita Khaled Al Falih, che è riuscito nell'impresa in cui il giorno prima aveva fallito i russi (benché Teheran sia legata policamente a Mosca e non certo a Riad). Potrebbe esserci stata una contropartita occulta. Ma in apparenza Zanganeh si è accontentato che il comunicato finale dell'Opec non facesse riferimento esplicito a quell'aumento di produzione chiesto dagli Usa proprio per compensare l'effetto delle sanzioni. Nel testo si evita addirittura di quantificare i volumi di petrolio che torneranno disponibili: si dice solo che dal 1° luglio i Paesi membri «si sforzeranno di riportare al 100% il grado complessivo di rispetto delle quote». In parole povere si punta ad attenuare i tagli produttivi, riallineandoli con quelli decisi in origine, a dicembre 2016, ossia 1,2 mbg per l'Opec, che salgono a circa 1,8 mbg con il contributo della Russia e degli altri alleati, che oggi dovrebbero ratificare l'accordo.
Le stime dei tecnici Opec, citate giovedì anche dai sauditi, indicano che oggi ci sono tagli extra per circa un milione di barili al giorno (alleati compresi) e uno sforamento del 52% – ossia di 624mila bg – per i membri dell'Organizzazione. «Fate voi i conti», è l'invito del presidente di turno del gruppo, l'emiratino Suhail Al Mazrouei, che tuttavia non lesina chiarimenti su altri aspetti dell'accordo. «Se cercate una distribuzione delle quote individuali per Paese non la troverete – afferma il ministro – Non potevamo distribuire l'aumento perché non tutti i Paesi sono in grado». La soluzione «logica», prosegue Al Mazrouei, è stata assumere un «impegno collettivo». Per estrarre di più bisognerà coordinarsi con il comitato di monitoraggio sui tagli, che vigilerà affinché non ci siano «abusi» e affinché non l'aumento di offerta non sia eccessivo.
Ma il comitato non ha aperto le porte all'Iran e all'Iraq, che lo chiedevano, né ha adottato meccanismi di vigilanza più rigidi. In pratica è ben possibile che le perdite di greggio iraniano legate alle sanzioni saranno compensate in fretta, proprio come voleva la Casa Bianca, con forniture saudite o di quei pochi altri produttori in grado di riaprire i rubinetti: gli Emirati arabi uniti, il Kuwait e tra i non Opec la Russia. Donald Trump, che poco dopo il vertice ha twittato un suo commento, non sembra deluso, anche se vuole toccare con mano i risultati: «Speriamo che l'Opec aumenti ila produzione in modo considerevole. Deve mantenere i prezzi bassi!».
Per ora il mercato ha reagito con ulteriori rialzi di prezzo alle notizie da Vienna. Il Brent ha guadagnato oltre il 2%, riavvicinandosi a 75 $ al barile, il Wti è tornato sopra 68 $, dopo un rialzo addirittura superiore al 4%, che lascia perplessi dopo che in sostanza l'Opec ha deciso di riaprire i rubinetti (sia pure solo quelli ancora funzionanti). Gli investitori forse speravano di più, visto che la Russia chiedeva un aumento di 1,5 mbg, oppure sono convinti che la produzione in realtà non risalirà troppo rispetto ai livelli attuali.
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