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Dazi, ecco il portafoglio a prova di guerra commerciale

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Dazi, ecco il portafoglio a prova di guerra commerciale

La vittoria di Donald Trump alle elezioni presidenziali Usa è stata inizialmente accolta molto bene dai mercati. Soprattutto per il maxi piano di stimoli fiscali promesso dal candidato repubblicano. Per tutto il 2017 gli investitori hanno guardato soprattutto al bicchiere mezzo pieno della riforma fiscale più che a quello mezzo vuoto della politica commerciale anche perché su questo fronte l’amministrazione Usa si è dedicata soprattutto a partire da quest’anno.

Troppo ottimisti?
I contraccolpi di mercato della partita sui dazi in ogni caso hanno tardato a manifestarsi perché tra gli investitori ha prevalso per molto tempo la convinzione che i toni alti sul commercio di Trump fossero una strategia negoziale per arrivare ad accordi più favorevoli con Cina e Unione europea. Le vicende degli ultimi mesi hanno dimostrato che forse gli investitori hanno peccato di ottimismo.

L’entrata in vigore questa settimana dei dazi Usa sull’import di merci cinesi fino a 34 miliardi di dollari seguita a ruota da una contromossa analoga da parte di Pechino sull’import di merci Usa in Cina segna di fatto l’avvio della guerra commerciale. Un passo pericoloso non tanto per le conseguenze dirette dei dazi finora imposti, che dovrebbero essere contenute, quanto per il rischio che questo sia solo il primo capitolo di uno scontro più ampio e pericoloso dalle serie conseguenze sull’economia mondiale.

Rischio numero uno dei mercati
In questo contesto non stupisce che la maggioranza degli investitori (31%) che ha partecipato all’ultimo sondaggio di BofA Merrill Lynch dichiari di considerare la guerra commerciale come il rischio numero uno sui mercati. Un rischio che negli ultimi mesi ha pesato soprattutto sul segmento azionario (a partire da comparti più esposti come l’auto) e su altre classi di investimento come i Paesi emergenti (grandi beneficiari della globalizzazione e più esposti al rischio di un rallentamento del commercio globale).

Come far fronte a questa situazione? I grandi gestori in questa fase stanno navigando a vista. Razionalmente non c’è ragione per cui Stati Uniti, Cina e Unione europea debbano farsi una guerra commerciale che potrebbe danneggiare tutti e compromettere la ripresa dell’economia. La cronaca d’altronde ha dimostrato come non sempre sia la razionalità a ispirare i politici nel prendere le loro decisioni.

«In questa fase - spiega Charles St Arnaud, senior investment strategist di Lombard Odier Investment Managers - è indispensabile monitorare attentamente la propria esposizione agli asset rischiosi». Notizie negative possono provocarne un ulteriore deprezzamento. D’altro canto spiragli positivi nella trattativa possono avere un impatto positivo da non trascurare. «È importante sottolineare - spiega - che i fondamentali sottostanti di molti segmenti all'interno delle economie in via di sviluppo sono molto più forti rispetto al 2013. Se i rischi esterni dovessero stabilizzarsi, allora ci aspetteremmo un rimbalzo».

“Per un’amministrazione Usa impegnata in una contesa con i partner per ridurre il suo deficit commerciale un dollaro troppo forte non è certo l’ideale. Non è pensabile che questo trend prosegua ancora molto”

Domenico Rizzuto, Dr Finance Consulting 

Per il momento tuttavia nulla lascia presagire una svolta. «Il presidente Trump - continua lo strategist - ha anticipato la sua prossima mossa, e cioè dazi per le importazioni di automobili negli Stati Uniti. Se confermata, questa misura andrebbe principalmente a colpire Canada, Giappone, Messico, Germania e Corea. L'impatto maggiore verrebbe probabilmente subito da Canada, Messico e Giappone, poiché le esportazioni di auto negli Stati Uniti rappresentano rispettivamente l'11%, il 7% e il 6% delle esportazioni totali di questi Paesi.

Canada e Messico vulnerabili
L'economia canadese subirebbe un grave shock e il paese potrebbe trovarsi in un periodo di recessione. Anche il Messico, sebbene non esposto come il Canada, potrebbe inoltre subire un impatto altrettanto negativo. In Germania, nonostante il settore automobilistico sia particolarmente importante per l'economia domestica, gli scambi commerciali diretti con gli Stati Uniti sono inferiori rispetto agli altri paesi, fattore che in qualche modo protegge il paese».

Fine corsa per l’apprezamento del dollaro?
Un altro fronte da monitorare poi è quello valutario. Negli ultimi mesi c’è stato un netto apprezzamento del dollaro (+3,9% la performance del dollar index dallo scorso 17 aprile). «Per un’amministrazione Usa impegnata in una contesa con i partner per ridurre il suo deficit commerciale - spiega Domenico Rizzuto di Dr Finance Consulting - un dollaro troppo forte non è certo l’ideale. Non è pensabile che questo trend prosegua ancora molto».

D’altro canto non è da escludere che il contesto della guerra sui dazi favorisca una riproposizione della guerra delle valute. «Sia l'euro che lo yuan, la valuta cinese, si sono indeboliti dall'inizio delle tensioni commerciali e ad oggi lo yuan tratta sul livello più basso dallo scorso dicembre. Le guerre commerciali di Trump sembrano aver aperto un nuovo capitolo nelle guerre valutarie» spiega Keith Wade capo economista di Schroders secondo cui una delle conseguenze che rischia di avere la guerra commerciale è quella di un rialzo dell’inflazione. Soprattutto se i dazi finora imposti solo su alcune categorie merceologiche selezionate dovessero essere estesi a beni di consumo, come l'abbigliamento, le calzature e gli elettrodomestici.

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