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Total rinuncia all’Iran e apre nuovi spazi alla Cina

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Total rinuncia all’Iran e apre nuovi spazi alla Cina

(Reuters)
(Reuters)

Il ritiro di Totaldall’Iran era nell’aria da settimane, adesso è ufficiale: messa sotto pressione dal ripristino delle sanzioni americane contro Teheran, la compagnia francese rinuncia a partecipare allo sviluppo di South Pars, il giacimento di gas più grande del mondo.

La sua quota nella Fase 11 del progetto finirà quasi certamente in mano al socio cinese Cnpc, rafforzando ulteriormente il ruolo chiave di Pechino per la sopravvivenza economica della Repubblica islamica.

La Cina è anche l’unico Paese che non solo non ha ridotto le importazioni di petrolio iraniano, ma addirittura l’ha incrementato (mentre al contrario compra sempre meno prodotti energetici dagli Usa).

Total non è la prima società a voltare le spalle alla Repubblica islamica, per timore dalle sanzioni secondarie minacciate da Washington: anche altri big occidentali , tra cui Siemens, Boeing e Maersk, hanno compiuto scelte analoghe. Ma il passo indietro dei francesi è particolarmente significativo.

La firma del contratto per la Fase 11 di South Pars, avvenuta a luglio dell’anno scorso, sembrava potesse aprire la strada a un massiccio ritorno degli investimenti in Iran, dopo che gli accordi sul nucleare avevano messo fine alla prima tornata di sanzioni.

Total ha cercato di tenere duro, ma già a maggio aveva segnalato che solo un esonero dalle sanzioni le avrebbe permesso di rimanere in Iran, vista la forte esposizione verso gli Usa. Gli americani non hanno sentito ragioni. E i 60 giorni che Teheran aveva concesso per trovare una soluzione sono scaduti.

«Nonostante l’appoggio delle autorità europee e francesi, non è stato possibile ottenere un’esenzione», ha affermato ieri la compagnia, confermando la rinuncia a South Pars. La notizia era stata anticipata poche ore prima dal ministro del Petrolio iraniano Bijan Zanganeh, che aveva aggiunto che «la procedura per sostituire Total è in corso».

Giorni fa funzionari iraniani davano già per fatto il passaggio di consegne a Cnpc, che con la quota dei francesi salirebbe dall’attuale 30% all’80,1% del progetto (il resto è della locale Petropars). La stessa Total ieri ha smentito novità su questo fronte, pur ribadendo che il colosso statale cinese «ha il diritto ad assumere la nostra partecipazione se decide di farlo». La titubanza – da parte iraniana e forse non solo – potrebbe derivare dalla scarsa esperienza di Cnpc nelle estrazioni offshore.

La guerra dei dazi che oppone gli Usa alla Cina rischia inoltre di creare ulteriori complicazioni, rendendo più costosa la fornitura di materiali e attrezzature. Pechino non sembra comunque intenzionata ad abbandonare l’Iran, quanto piuttosto a sfruttare le tensioni internazionali per guadagnare influenza nell’area

Fonti Reuters riferiscono che i raffinatori cinesi, grazie a clausole già previste dai contratti di fornitura, hanno ottenuto di spostare a carico dell’Iran tutti i servizi e gli oneri per il trasporto e l’assicurazione dei carichi di petrolio. È probabile che siano stati offerti anche sconti di prezzo. E Pechino – in controtendenza con tutti gli altri clienti della Repubblica islamica, asiatici ed europei – sta aumentando le importazioni.

In agosto sono salpati verso la Cina 767mila barili al giorno di greggio e condensati iraniani secondo rilevazioni della stessa Reuters, contro una media di 623mila bg nel 2017.

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