Domenica scorsa, gli ultimi 5 aerei ATR 72-600 – prodotti dal consorzio tra Airbus e l’italiana Leonardo – sono atterrati all’aeroporto di Mehrabad, a Teheran, portando a 13 (su un ordine di 20) il numero di quelli finora consegnati all’Iran, alla vigilia della reintroduzione delle sanzioni. Gli altri 7 difficilmente potranno essere inviati. Vasi di coccio, le imprese, tra i vasi di ferro della politica e della burocrazia.
Con il ritorno delle sanzioni Usa all’Iran – e soprattutto delle sanzioni secondarie, cioè le ritorsioni verso le aziende europee che volessero continuare a fare affari con l’Iran, colpendole nei loro business in Usa, come ha avvertito via twitter Donald Trump – «saranno soprattutto le Pmi italiane a restare con il cerino in mano» spiega, alquanto rassegnato, Sandro Salmoiraghi, presidente di Federmacchine.
Dei quasi 2 miliardi che l’export italiano sperava di portare a casa nel 2018, dall’Iran, circa 1 miliardo è costituito da meccanica strumentale, che rappresenta il 54% delle nostre vendite a Teheran. E gli strumenti messi in campo dalla Ue poco potranno davvero contrapporsi alle decisioni del nostro principale partner commerciale, che detiene anche le leve del sistema finanziario internazionale.
Sono due gli strumenti – ribaditi ieri anche da un comunicato congiunto dell’alto rappresentante della politica estera, Federica Mogherini, e dei ministri di Germania, Francia e Regno Unito – messi in campo dalla Ue: la riattivazione del Regolamento di blocco del ’96 (che impedisce alle aziende Ue di adeguarsi alle sanzioni secondarie Usa) e l’estensione del mandato della Banca europea per gli investimenti (Bei) che potrebbe fornire garanzie sulle attività finanziarie degli investitori europei in Iran.
GUARDA IL VIDEO / Scattano sanzioni Usa a Iran, e Rohani chiude a Trump
Il Regolamento di blocco è una presa di posizione importante. A parole. Ma affida a ciascuno Stato membro la decisione sulle misure punitive da imporre alla controparte Usa che colpisca aziende Ue e su come risarcire queste ultime. Insufficiente, troppo vago e troppo burocratico. In più non sarebbe efficace in casi di confisca o congelamenti di asset italiani negli Usa o negli ostacoli all’accesso al mercato e al sistema finanziario Usa. L’export italiano verso Washington vale 40 miliardi, quello verso l’Iran meno di 2. La scelta è nei numeri.
La seconda misura, approvata dall’Europarlamento il 4 luglio, è l’inclusione dell’Iran tra i Paesi idonei a ottenere prestiti dalla Bei. Che però si finanzia anche sul mercato Usa e una transazione su 3 la effettua in dollari.
Insomma, il rischio è di un ritorno al passato. Le grandi società tedesche e francesi stringeranno joint venture e produrranno in loco per il mercato locale. Per le Pmi italiane potrebbe aprirsi, invece, solo la strada delle vendite con pagamenti triangolati su conti correnti di intermediari arabi o turchi. Con tutti i rischi e la fatica di gestire la mancanza di trasparenza.
© Riproduzione riservata