Il conto alla rovescia per le sanzioni contro l’Iran è cominciato e gli Stati Uniti mettono mano alle riserve strategiche di petrolio. Tra ottobre e novembre, nel periodo in cui le forniture da Teheran sono destinate a crollare, il dipartimento dell’Energia metterà sul mercato 11 milioni di barili di greggio di qualità sour, ad alto contenuto di zolfo, il più simile a quello iraniano.
La mossa per adesso è simbolica: non si tratta di un rilascio di scorte d’emergenza – ipotesi che peraltro la Casa Bianca sta prendendo in considerazione – e i volumi offerti sono irrisori rispetto al potenziale calo delle esportazioni dalla Repubblica islamica, stimato intorno a un milione di barili al giorno.
La vendita, inoltre, si inserisce in un piano per la riduzione della Strategic Petroleum Reserve (Spr) che il Congresso ha approvato con una serie di leggidurante l’amministrazione Obama. Il programma – mirato a rimpinguare le casse dello Stato – prevede la graduale cessione di 290 mb di greggio entro il 2027, ma non stabilisce in anticipo in quale periodo di ciascun anno fiscale le vendite debbano avvenire.
Il timing scelto per il 2017-2018 (e la qualità del greggio) non sembrano comunque casuali. I barili della Spr – che gli Usa hanno accumulato dagli anni ’70, in reazione all’embargo subito dai Paesi arabi – arriveranno sul mercato proprio in coincidenza con l’entrata in vigore delle sanzioni contro il petrolio iraniano, fissata per il 4 novembre, e con le elezioni americane di metà mandato, che si terrano un paio di giorni dopo.
I rincari della benzina sono un tema sensibile, che rischia di costare voti preziosi ai Repubblicani. Donald Trump è stato più volte attaccato dall’opposizione su questo fronte e il suo nervosismo è emerso con evidenza anche dai numerosi tweet con cui ha accusato l’Opec per i prezzi «artificialmente troppo alti».
L’Arabia Saudita ha risposto agli appelli della Casa Bianca, promettendo di aumentare la produzione di greggio. Ma dopo la forte accelerazione di giugno le estrazioni di Riad sono di nuovo calate il mese successivo, quando l’output – sollevando perplessità tra gli analisti – è sceso da 10,5 a 10,3 mbg.
La vendita di petrolio dalle riserve Usa non riuscirà a compensare la perdita di forniture dall’Iran e dagli altri Paesi produttori in difficoltà, a cominciare dal Venezuela. Il mercato ne è consapevole, tant’è vero che non c’è stata alcuna reazione ribassista all’annuncio, arrivato lunedì sera. Al contrario il prezzo del barile, guidato dall’indebolimento del dollaro, è salito: il Wti per settembre, scaduto ieri, ha chiuso a 67,35 $ (+1,4%), il Brent per ottobre a 72,63 $ (+0,6%)
La scelta di collocare la prossima vendita di petrolio dalla Spr tra il 1° ottobre e il 30 novembre potrebbe in effetti aiutare Trump, sostiene Michael Tran di Rbc Capital Markets, ma solo perché crea l’«illusione ottica» che il Governo abbia agito contro il caro benzina: con l’arrivo dell’autunno e la fine della driving season è probabile che i prezzi alla pompa negli Usa scendano comunque.
La Casa Bianca inoltre ha la possibilità di ottenere il rilascio di altri 30 mb di riserve strategiche d’emergenza, osserva Kevin Book di ClearView Energy, anche se molti esperti giudicano improprio utilizzare a fini politici e in modo programmato uno strumento nato per tamponare improvvise carenze d’offerta, come quelle causate da guerre o uragani.
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