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Bill Gates, Jack Ma e gli altri miliardari che hanno scelto la filantropia

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PATRIMONI RECORD IN BENEFICENZA

Bill Gates, Jack Ma e gli altri miliardari che hanno scelto la filantropia

L’ultimo della lista è Jack Ma, il fondatore del colosso ecommerce Alibaba. L’imprenditore, 53 anni, ha deciso di dare l’addio alla guida del gruppo per dedicarsi a progetti filantropici nell’istruzione. Una chiusura del cerchio che lo riporta alle sue origini di docente, oltre a lasciare scoperta la poltrona numero uno di un gruppo valutato oltre 400 miliardi di dollari. Al di là delle suggestioni più poetiche, come il proposito di «morire su una spiaggia», la scelta di Ma non ha nulla di spiazzante.

Tra i miliardari internazionali, soprattutto negli States, è abbastanza comune farsi da parte per «dedicarsi ad altre passioni», da un progetto no-profit al lobbying in politica per cause ambientali. Quanto ci sia di nobile e quanto di convenzionale non è dato saperlo, visto che la pratica di auto-intitolarsi fondazioni benefiche è una tappa obbligata che risale ai tempi di capitani d’industria come Henry Ford e David Packard.

Il modello di Bill Gates
L’esempio di circostanza è Bill Gates. Il cofondatore di Microsoft ha fatto un primo passo indietro dai vertici aziendali nel 2000 per iniziare a concentrarsi sulla Bill e Melissa Gate foundation, la fondazione benefica lanciata nello stesso anno insieme alla moglie e cresciuta fino alle dimensioni attuale: dotazione di oltre 50 miliardi di dollari e almeno 1.500 dipendenti nel 2017, con diramazioni che vanno dalla lotta all’Aids al contrasto alla «povertà estrema» nei paesi africani. Come nel caso di Jack Ma, la svolta filantropica non ha impedito a Gates di mantenere incarichi di rilievo nella multinazionale almeno fino al 2014, quando ha ceduto la nomina di presidente all’attuale Ceo Satya Nadella.

Oltre al lavoro della sua fondazione, Gates si è imbarcato in una lunga serie di iniziative umanitarie insieme ad altri colleghi in cima ai ranking dei paperoni globali. Nel 2009 ha dato vita insieme a Warren Buffett a Giving pledge, una campagna per spronare i miliardari statunitensi a convertirsi alla causa filantropica. Nell’arco di meno di 10 il progetto ha incassato l’adesione di 184 donatori, dall’ex sindaco di New York Michael Bloomberg al creatore di Facebook Mark Zuckerberg. Il totale di finanziamenti veicolati si aggirava sopra i 369 miliardi di dollari nel 2016.

Dagli hedge fund alla beneficenza (e alla politica)
Il padre di Microsoft è in buona compagnia anche quando si parla di filantropia a tempo pieno, diversa da quella che si svolge in maniera parallela o complementare al proprio business . Nel 2013 John Arnold, manager di hedge fund e stella del trading, si è ritirato dalla piazza (con un patrimonio netto di 3,5 miliardi di dollari) per gestire insieme alla moglie la Laura e John Arnold foundation. Oggi l’0rganizzazione sponsorizza progetti in campi differenziati, dall’istruzione alla ricerca scientifica. Tom Steyer, fondatore della società di investimento Farallon Capital, lo ha anticipato di un anno, vendendo tutte le sue .quote di partecipazioni e ritirandosi nel 2012. Si fa per dire: Steyer, forte di un patrimonio privato da 1,6 miliardi di dollari, ha creato pochi mesi dopo NextGen America, una fondazione impegnata nel contrasto al cambiamento climatico. Una battaglia condotta soprattutta in chiave politica, a partire da una incompatibilità di fondo con la destra Usa. In occasione della Festa della mamma, la fondazione ha diffuso un video «educativo» dove si invitavano i genitori a non lasciare che i propri figli diventassero repubblicani.

La nuova era dei super-filantropi cinesi
Nella Cina di Jack Ma, la filatropia delle classi più abbienti è tornata ravvivarsi con la modernizzazione del sistema economico e la nuova esplosione della ricchezza privata. Il crearsi di una lunga serie di miliardari di prima generazione, come lo stesso Ma o il parton di JD.com Richard Liu, ha permesso alle donazioni benefiche di conoscere un nuovo picco. Secondo una stima riportata dal quotidiano britannico Guardian, i finanziamenti elargiti dai miliardardi cinesi sono lievitati di 3,6 miliardi di dollari dal 2010 al 2016. Come il caso di Ma insegna, uno fra i settori che attira di più la sensibilità dei neo-paperoni cinesi è l’education, la formazione. L’idea di fondo è quella di dover restituire alla società quello che si è ricevuto, sbloccando risorse milionarie a favore di progetti che consentano di democratizzare l’accesso a un’istruzione di qualità.

Anche qui, come negli States, incidono l’istituzionalizzazione del processo e l’effetto-emulazione fra imprenditori che hanno costruito sul web patrimoni pari all’equivalente di decine di miliardi di dollari. Il ritorno di immagine ha il suo valore, anche nel «socialismo con caratteristiche cinesi», ma a volte il marketing non è l’unica chiave di lettura. Il 48enne Zhao Weiguo guida Tsinghua Unigrou, il braccio di investimenti della Tsinghua University, ed è considerato come uno dei padri dell’industria di semiconduttori nazionali. Oggi, forte di una fortuna oltre all’equivalente di 1,3 miliardi di dollari, spiega perché ha donato yuan in progetti legati alla formazione. Da bambino i suoi genitori, spediti nelle campagne perché bollati come dissidenti, lo hanno fatto crescere allevando maiali e pecore. «Sapevo - dice ora Weiguo - che solo l’educazione avrebbe cambiato il mio destino».

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