Il governo sarebbe determinato ad arrivare allo show-down sul caso Nava, il presidente della Consob al quale la maggioranza giallo-verde da mesi sta facendo pressione per mettersi in regola rispetto alle modalità di nomina, finite nel mirino di una richiesta formale da parte di parlamentari di entrambi i partiti. E questo anche a seguito delle dichiarazioni fatte lunedì scorso da Mario Nava, ritenute da molte parti troppo forti. Il presidente Consob aveva ribadito che sulla sua nomina è tutto regolare, ma soprattutto aveva affermato di essere «della vecchia scuola, per cui le amministrazioni si parlano per atti e non in tv o strillando in parlamento».
Due le alternative che sarebbero al vaglio. La revoca della richiesta di “comando” da parte di Bruxelles, fatta dal governo Gentiloni attraverso la penna dell’ambasciatore presso la Commissione europea, Maurizio Massari. Una strada che certo non incontrerebbe la contrarietà di Bruxelles. Quest’ultima, anzi, come rivelato nei giorni scorsi dal commissario Gunther Oettinger, aveva suscitato le perplessità della Commissione per l’incompatibilità di comando per ragioni di servizio con la presidenza della Consob. L’imbarazzo di Bruxelles emerge anche dal carteggio intercorso tra l’istituzione europea e Massari: nella sua missiva di gennaio in risposta agli interrogativi della Commissione - inclusa negli atti inviati dalla Consob al premier Conte - è proprio l’ambasciatore a rassicurare e a fugare i dubbi degli interlocutori comunitari sul fatto che «la disposizione amministrativa non avrebbe inciso sulla sua indipendenza in veste di presidente della Consob».
Il motivo delle perplessità non è difficile da capire: in base alle regole comunitarie il dirigente Ue in comando mantiene privilegi e immunità rispetto alla giurisdizione nazionale (anche quando commina sanzioni ai soggetti vigilati). Deve riferire due volte all’anno sull’operato all’amministrazione che lo ha comandato. Ed è remunerato da questa: la Consob versa alla Commissione ogni mese lo stipendio (244 mila euro l’anno), che Bruxelles gira poi al presidente Nava.
Se il governo Conte dovesse rivedere la richiesta di comando- come in qualche modo sembra emergere dalla nota con la quale i parlamentari della Lega e dei 5Stelle ieri hanno chiesto le dimissioni di Nava, al presidente Consob non resterebbe che l’alternativa (oltre alle dimissioni da Consob o dalla Commissione) di chiedere l’aspettativa, perdendo tutti i privilegi, ma forse anche la prospettiva di una futura carriera come direttore generale a Bruxelles.
La seconda strada che, in base alle indiscrezioni, sembra più probabile, prevede la revoca della nomina in autotutela, principio previsto dal procedimento amministrativo nazionale. Percorso che presenta, però, il rischio di un ricorso al Tar da parte dell’interessato. Nel corso dell’estate importanti figure politiche e istituzionali avevano informalmente fatto presente al presidente Nava l’opportunità di mettere in regola la propria posizione, ma lui aveva ribadito la regolarità del suo percorso.
Il premier Conte ha anche sollecitato il collegio Consob a esprimersi sull’incompatibilità di Nava, ma a metà agosto la risposta non ha potuto che essere la constatazione da parte dei commissari della mancanza di poteri in materia. In verità il collegio era stato messo in allerta da un’anomalia al momento dell’insediamento di Nava che li aveva spinti a chiedere un parere all’avvocato generale, Fabio Biagianti. Nava non ha letto la dichiarazione di rito sull’assenza di incompatibilità, ma una sorta di parere in base al quale sarebbe emerso che le norme sull’incompatibilità a lui non potevano essere applicate perché in stato di comando per ragioni di servizio.
Interpellato sulla questione, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Giancarlo Giorgetti, ha oggi tirato il freno: «So che c'è un problema rispetto alla posizione contrattuale con la Commissione europea. Una volta che si è chiarito quello, poi non ci sono problemi», ha detto.
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