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Gli investitori esteri vendono BTp: in calo al 28,3% a giugno

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Gli investitori esteri vendono BTp: in calo al 28,3% a giugno

Per due mesi consecutivi, prima in maggio e poi ancora in giugno, gli investitori stranieri hanno ridotto le loro posizioni sul rischio Italia. A fine giugno, in particolare, i portafogli dei non residenti erano pari 713,9 miliardi, contro i 772,2 di aprile, un calo di 58 miliardi. Il dato comprende non solo i titoli di Stato ma anche i prestiti. Se si guarda solo ai bond pubblici, questi sono scesi da 722,4 miliardi a 664,3 miliardi di euro, dopo la riduzione dai 698,5 miliardi di euro del mese di maggio, quando una forte volatilità e l’allargamento dello spread Btp-Bund hanno cambiato volto ai mercati.

Tenendo conto dello stock complessivo del debito pubblico, pari a 2.341,6 miliardi di euro a giugno, la quota di titoli in mano a investitori esteri è diminuita di circa 35 miliardi rispetto a maggio, ed è ora pari al 28,3% circa. Venerdì il differenziale di rendimento sui decennali si è fermato sui 253 punti base, pressoché invariato, con un rendimento del BtP a 10 anni al 2,98%. Il dato sul non rinnovo a scadenza dei titoli pubblici italiani da parte dei non residenti è stato confermato nelle statistiche di Bankitalia sulla Finanza pubblica.

Secondo un report di UniCredit che analizza i dati Bankitalia, quello di giugno è sicuramente stato «uno dei maggiori deflussi mensili dalla crisi del 2011. Questo importo è stato anche il doppio rispetto alla variazione del saldo Target-2 di giugno (16 miliardi di euro)». A fronte delle vendite da parte di investitori non residenti, tra i quali ci sono molti fondi con residenza estera che gestiscono risparmi degli italiani, si segnala un maggiore impegno delle banche nazionali (14 miliardi di euro) e da parte delle famiglie e delle società non finanziarie (13 miliardi di euro). Le altre istituzioni finanziarie residenti (compagnie assicurative, gestori patrimoniali, etc) non hanno invece evidenziato scostamenti di rilievo su base mensile. Secondo l’analisi di UniCredit, che cita anche dati Bce, «le banche italiane sono rimaste acquirenti di titoli di Stato italiani a luglio (4 miliardi di euro) con un focus più concentrato sul breve termine e sui Bot». Dai dati di Target-2, «le vendite da parte di investitori stranieri sono probabilmente diminuite, o addirittura invertite un po’ a luglio, il che sarebbe coerente con il restringimento degli spread osservato».

Nel mese di luglio è invece tornato a crescere di 18,4 miliardi lo stock del debito, ora pari a 2.341,7 miliardi. L’aumento è dovuto alle maggiori disponibilità liquide del Tesoro (+31,6 miliardi, a 80 miliardi), che hanno più che compensato l’avanzo di cassa delle Amministrazioni pubbliche (15,1 miliardi); gli scarti e i premi all’emissione e al rimborso, la rivalutazione dei titoli indicizzati all’inflazione e la variazione dei tassi di cambio hanno complessivamente incrementato il debito di 1,9 miliardi.

Nel mese di giugno il debito era sceso a 2.323 miliardi, con un piccolo calo rispetto ai 2.327 di maggio. Guardando alla ripartizione tra i diversi settori, dalle statistiche di via Nazionale si apprende che il debito delle Amministrazioni centrali è aumentato di 20,4 miliardi, mentre quello delle Amministrazioni locali è diminuito di 2 miliardi; il debito degli Enti di previdenza è invece rimasto pressoché invariato. Gli ultimi dati di Bankitalia arrivano il giorno dopo la riunione di politica monetaria della Bce, che ha confermato il percorso di chiusura del Quantitative easing: da ottobre gli acquisti di titoli dell’Eurozona scenderanno a 15 miliardi al mese, per azzerarsi a gennaio.

L’Eurotower continuerà a reinvestire, cioè a usare il capitale dei bond che arrivano a scadenza ricomprandone per pari valore, con modalità e tempistiche da decidere nel consiglio direttivo del 25 ottobre o, al più, del 6 dicembre. Prendendo a riferimento le stime secondo cui il Qe ha ridotto la spesa per interessi pagata dall’Italia sul suo debito, in teoria andrà gradualmente evaporando un “bonus” di 15 miliardi l’anno. In realtà, le passate politiche di gestione del debito e di allungamento della “via media” dei titoli fanno si che l’impatto di un rialzo dei tassi sul bilancio dello Stato sarà molto graduale nel tempo.

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