Ieri i mercati hanno salutato con una discesa netta dello spread i risultati della tre giorni di Cernobbio, durante i quali il governo ha raccontato più o meno in coro la linea Tria sul deficit riassunta nell'intervento finale dello stesso ministro dell'Economia. «E' inutile chiedere tre miliardi di flessibilità all'Europa e poi doverne spenderne 3-4 in più sui tassi d'interesse», ha detto a Villa d'Este il titolare dei conti italiani. E l'argomento è sembrato conclusivo dopo un dibattito estivo più che vivace. La lezione dello spread, o meglio le classiche reazioni degli investitori che di fronte alle incognite scappano o speculano al ribasso, è servita.
Niente «azzardi»
Ma le settimane spese in discussioni sul 3% hanno già cambiato il terreno di gioco della manovra. In peggio. A Cernobbio,
Tria ha messo una pietra sopra alle tentazioni di deficit spending, che pure hanno più di un tifoso ai piani alti della maggioranza.
L'azzardo morale non funziona, ha detto, perché con il moral hazard produce il deficit aggiuntivo è certo, a differenza degli
effetti sulla crescita che restano improbabili perché l'incertezza alimenta il risparmio più che consumi e investimenti.
Aggiornamento difficile
Ma c'è un dato in più alla base dei numeri che girano sui tavoli del ministero dell'Economia. Anche dopo i 17 punti abbondanti
di spread persi ieri, che accentuano una discesa avviata la scorsa settimana, la distanza dai decennali tedeschi rimane 100-110
punti sopra i livelli registrati quando si scriveva il Def nella scorsa primavera. La Nota di aggiornamento arriverà dopo
cinque mesi difficili, cadenzati da 5 aste di Btp che hanno visto salire i rendimenti fino al 3,25% dei 2,25 miliardi di decennali
collocati a fine agosto.
Consolidare una dinamica di questo tipo su tutta la curva dei rendimenti costa 4,5 miliardi sull'anno prossimo secondo i modelli
dell'Ufficio parlamentare di bilancio, e qualche centinaio di milioni in meno secondo i calcoli della Ragioneria generale.
E produce anche un costo aggiuntivo vicino al miliardo già sul 2018.
Più interessi, meno riforme
Conseguenze: secondo il Def di aprile l'Italia avrebbe dovuto spendere in interessi 62,5 miliardi quest'anno e 63 il prossimo,
con un aumento dello 0,8%. Dopo le fiammate partite con la crisi istituzionale della fine di maggio e continuate con le discussioni
dei primi tre mesi di governo, entrambi i numeri sono da aggiornare. I calcoli ufficiali arriveranno con la Nota di aggiornamento,
ma la spesa da mettere in conto quest'anno viaggia verso i 63,5 miliardi, e quella dell'anno prossimo può puntare a quota
68. La differenza, in questo caso, sarebbe del 7%, cioè più del doppio rispetto alla crescita del Pil nominale messa in programma
sempre dal Def di aprile. Anche questa da aggiornare, al ribasso.
La conseguenza è semplice: crescendo più del Pil, gli interessi spingono verso l'alto anche il peso del debito con il classico
«effetto palla di neve». Per la riduzione del rapporto fra debito e Pil, che per Tria e Conte è il presupposto fondamentale
della manovra, servono quindi coperture aggiuntive. «La linea ufficiale del governo è sempre stata questa, ma i mercati prima
non ci hanno creduto», ha detto Tria a Cernobbio. Senza i dubbi della primavera-estate, riforma fiscale, reddito di cittadinanza
e correzioni alla legge Fornero avrebbero potuto avere un po' di spazio in più.
© Riproduzione riservata