I fondi attivisti non sono certo una novità, ma adesso arriva l’attivismo di gruppo. Con l’intento dichiarato di far rigare dritto le società aurifere, accusate di «distruzione seriale di valore». A prendere l’iniziativa – in un momento difficile anche per le quotazioni dell’oro, che scambia a meno di 1.200 dollari l’oncia – è stato John Paulson, gestore di hedge funds che ha guadagnato fama mondiale per aver intuito prima di altri la crisi dei mutui subprime negli Usa, ma che è noto anche per essere un fan del lingotto.
Dopo un anno di gestazione, Paulson ha annunciato la creazione dello Shareholders’ Gold Council (Sgc). Il gruppo – il cui nome scimmiotta quello del World Gold Council, sostenuto dai produttori di oro –riunisce 16 investitori istituzionali.
Accanto alla Paulson & Co, spicca la presenza di La Mancha Resources, la holding in cui Naguib Sawiris ha consolidato le sue partecipazioni nel settore aurifero, che negli ultimi anni è diventato una vera e propria passione per il finanziere egiziano. Di recente Sawiris ha rivelato di aver investito sul metallo prezioso metà della sua ricchezza personale, stimata in 5,7 miliardi di dollari.
Tra i soci fondatori dell’Sgc ci sono anche altri nomi importanti nel panorama dell’asset management, come John Hathaway, partner di Tocqueville, Equinox Partners e il fondo attivista Livermore Partners. Ma Paulson per ora non è riuscito ad attirare alcuni tra i maggiori investitori nel mining, come BlackRock e Van Eck Associates. A meno che non siano proprio loro i quattro soci che hanno scelto di restare anonimi.
Della partita sono anche Adrian Day Asset Management, Apogee Global Advisors, AMG Fondsverwaltung, Delbrook Capital, Equity Management Associates, Kopernik Global Investors e Sun Valley Gold.
Paulson – che gestisce 8,7 miliardi di dollari, in buona parte investiti proprio in società aurifere ed Etf sull’oro – aveva lanciato l’iniziativa dell’Sgc a settembre dell’anno scorso, durante il Denver Gold Forum, uno dei principali convegni del settore.
Il suo partner Marcelo Kim aveva illustrato alla platea una presentazione-shock, che denunciava anni di cattiva gestione delle minerarie specializzate nell’oro, accusandole di aver bruciato 85 miliardi di dollari tra il 2010 e il 2017 con acquisizioni dissennate e un controllo insufficiente dei costi e delle remunerazioni dei manager. Gli azionisti, accusati di eccessiva acquiescenza, erano stati paragonati a «pecore portate al macello».
Le slides evidenziavano la performance deludente dei titoli auriferirispetto ai corsi dell’oro, un problema ben noto agli investitori e che sussiste tuttora. Le quotazioni del metallo – schiacciate dal rialzo dei tassi di interesse e dalla forza del dollaro – sono in ribasso dell’8% quest’anno (ieri hanno perso oltre l’1% a un minimo di 1.191 $/oncia), ma le aurifere hanno fatto molto peggio. Il Nyse Arca Gold Bugs Index, riferito a un paniere di titoli dei colossi del settore, è affondato del 24% . Tra le cause, c’è anche la fuga dei fondi dal comparto.
Vanguard – questo sì un vero colosso dell’asset management, con 5mila miliardi di dollari in gestione – ha rinunciato ad avere un fondo specializzato in metalli preziosi e minerarie: dopo perdite pesantissime il fondo, ribattezzato Vanguard Global Capital Cycles Fund, si sta rifocalizzando su telecom e utilities. Le sue liquidazioni hanno dato il colpo di grazia ai titoli auriferi. Il l’indice Arca Gold Bugs solo da luglio ha perso il 17%
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